Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
LIBRO TERZO | 111 |
DEL CAVALLARIZZO
DI CLAUDIO CORTE
DI PAVIA.
DIVISO IN TRE DIALOGHI.
DIALOGO PRIMO.RITROVANDOMI una di queste mattine à cavallo con molti cavalieri, il Commendator Fra Prospero Ricco gentilhuomo Milanese molt’honorato, & nel mestiere che ad ottimo cavallarizzo s’appartiene molto eccellente, mi disse: io non so già perche voi Messer Claudio habbiate intitolato il vostro libro il cavallarizzo, non parlando pur mai (& sia con sopportatione detto) di quello che se gl’appartenghi? per che se in questo titolo havete voluto immitare Marco Tulio nel suo oratore, Plutarco nel Principe che fa al suo Imperatore Troiano, & altri che titoli tali convenevoli alli lor libri hanno dati, dovevate ancor voi scriverne come hanno fatto loro, & non passarvene così seccamente come havete fatto; che per vero se bene havete scritto in tutti due i libri di molte cose belle & utili, non havete però ne atteso quel che prometteste nel terzo libro, ne sodisfatto à quello che al titolo si richiede. Et parmi veramente che se non sodisferete ad ambedue le cose, & a molt’altre ancora che vi si potranno opponere, & adimandare, che voi mancherete assai all’aspettatione del debito vostro, & à quella che noi altri habbiamo di voi. Là ond’io sovrapreso da altri pensieri, & ritrovandomi affaticato molto dalle aggitationi di molti cavalli, ch’io havevo fatte, lo pregai che per allhora mi concedesse il tacere, & lo andarmene à riposare, & che nel giorno seguente di poi disinare io lo havrei più che volentieri sodisfatto, & non solo in questo, ma in molt’altre cose, ch’io vedevo di già essere apparecchiato, & desideroso di adimandarmi. A che s’interposero alcuni gentilhuomini & cavallieri dicendo essere ben fatto differire le amichevole tenzoni per il giorno seguente nell’hora da me deputata, & che ciascuno di noi si dovesse trovare nel medesimo luogo, dove determinariamo le nostre liti amichevolmente, per essere allhora à caso cavalcati il Commendator & io nel dilettevole giardino d’Agostino Ghisi, nel quale ancora molte volte venivamo à diporto, à correr lancie, maneggiar cavalli nelle sue belle, dilettevoli strade per fuggire la malvagità del caldo, & esser solamente tra noi sequestrati dalla moltitudine giudicatrice delle operationi altrui vanissima