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LIBRO SECONDO 102

dosegli, tanto più per vedersi in libertà ritornarebbe alla credenza, & al vitio di prima, di non voler voltare; ò di portare il muso, e il collo piu su una mano che sull’altra. Et così direi ancora di tutti gl’altri castighi & aiuti; ma perche questo non può stare, così ne anco quello mi par che stia. Perche dipoi che il cavallo havrà preso una bona piega, & in quella fatto buon habito, difficil cosa sia à lasciarla così come veggiamo che la pianta tenera, la qual piega da banda, attaccata, et apoggiata à ramo dritto, viene à crescere anc’essa dipoi senz’appoggio diritta, e bella. La camarra adunque è cosa utilissima; & io havendola per cosa assai manifesta appresso à ciascuno ben intendente dell’arte del cavalcare, non starò à provarla con altre ragioni. L’uso della quale io apresi in quelle belle, & buone scole antiche, nelle quali furono maestri quelli rarissimi huomini messer Giovan Angelo da Cariano di Milano, & M. Gio. Maria della Girola di Corte di Pavia, già mio padre. Dalle quali scole uscirono tanti creati che per aventura non uscirono tanti scolari dalle academie Greche, e discepoli da Pitagora. Et nelle quali furono fatti tanti buoni, & valorosi cavalli che forse meno sarebbe contare il numero de’ soldati in un essercito, che nominare ad uno per uno quelli; Et stupisco quando ci penso. Et con honor di ciascuno sia detto io, non vedo hoggidì in scola nessuna d’Italia, ne fuor d’Italia ch’ardirò dire, che pur ho visto quella di Francia, & quella di Carlo Quinto, cavalli sì perfetti in ogni guisa, come nelle scole suddette erano. Et benedetti siano i maestri d’esse, & i mecenati che li premiavano magnificamente, come ben meritavano le lor rare virtuti. Da quelle scole usciron per non dir de’ Conti, Marchesi & Duchi, e gran capitani, che chiaro è, che mio padre gran tempo essercitò in quest’arte quel gran Prospero Colonna, cavallarizzo del quale era, che sol questo invittissimo, & prudentissimo general capitano di Carlo Quinto Imp. basta ad honorar il mondo tutto non che far fede dell’eccellentia di tal scuola; & honorarla fin al colmo de gl’honori. Si che lasciando da parte si grandi Heroi, e sommi Duci, posponendo anco infiniti cavallieri honoratissimi, per non voler dar sospettione forse di troppo amor filiale ch’io lor porto così morti col mio dire, dico che mentre questi dui divinissimi maestri furono cavallarizzi di quella regalissima Signora donna Isabella d’Aragona Duchessa di Milano, dalle lor scole uscirono tra gl’altri tre chiari soli in quest’arte, messer Giovan Giacomo Catamusto, Gio. Loigi di Riggiero, & il Commendador fra Prospero ricco di Milano, ne usciron anco dipoi Marc’antonio Calavrese, Giacchetto Milanese, & Camillo dalla Mendolara. Il quale, e per il valore, & arte sua, fu caro prima à Monsignor di Memoransi gran Contestabile di Francia dipoi al grand’Alfondo d’Avolo, Marchese del Vasto e generale in Italia di Carlo quinto. E questo basti sol per cenno. Ma ritornando alla camarra che tanto in quelle scuole era usata, dico che l’utile, che ci reca è infinito, perche ritira sotto à segno ogni cavallo, che porgesse più del devere il muso in fuora, & non andasse col collo inarcato