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Troppo è ’l periglio d’improvvisa piena,
Che, qual ladrone insidioso e presto,
Rapisca il tuo deposito, e là dove
Giugner non possa tu col piè, ’l trasporti.
Chi non s’arresteria? non è sicuro,
Nè fiume alcun, nè alcun torrente mai,
Ch’acqua montana, o liquefatta neve
Improvvisa non giunga, e fuor de l’uso,
L’intumidisca sì, sì ’l corso accresca,
Che gli argini e i ripari, e in collo prenda,
E piante e mandre e le palificate,
E i sassi stessi, non che lieve cosa,
Quant’è l’ivi sepolto tuo tesoro,
Leggier qual canna, e mobile a ogni vento.
L’arena poi, che de’ correnti fiumi
Fu sempre indivisibile compagna,
Roderia troppo la gentil corteccia
De la giacente canape, e quantunque
Il tiglio di candor tal si vestisse,
Che a l’argento, ed al latte onta facesse,
Pur saria lieve al peso, e molle e floscia,
Nè il suo candor varria per darle pregio:
Sicchè ad acqua corrente ed arenosa
Non volerti affidar: che se altro poi
Non hai dove tuffar questa tua messe,
Ed arrischiarti a forza ti convegna;
Altro far non potrai, che trovar via
Di raffrenar con l’arte a l’acque vive
Il natural precipitoso corso;
E far che sien, quanto più puoi, stagnanti,
O lente almeno, o non soffreghin tanto
Il sottoposto macerabil tiglio.
E se pur ciò non puoi, consiglio muta,