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Al lor, quantunque misero abituro,
Oltre ’l denar diurno, o sia per uso,
O per misuso, un fascio ancora, o due
Portansi seco del lavor già fatto,
E ’l villan, che al suo simile s’accorda,
(Soffralo in pace il suo padron, cui tolta
E’ per metà questa mercè) nol vieta;
Anzi ’l consente; e quindi è poi, che tante
Femminelle veggiam di picciol foco,
Abbondar di garzuolo, e di filato,
Non che di stecchi, ed aver sempre al fianco
La sua fedel conocchia col pennecchio,
Tra per mercede, e tra per gherminella.
Ma pria vedransi l’acque andar ritrose
Da la foce a la fonte, e il sol fermarsi
Nel suo diurno, ed immutabil corso,
Che mutarsi a quest’organo il registro.
Scelta così, così purgata tutta
La canape già tronca, e in un legata
A fascio a fascio, abbiasi pronto allora
Falcion tagliente, che su duro tronco,
O su la panca, ove cappasti i fasci,
D’un colpo sol le barbe ne recida,
Come inutili tutte, e in un miscuglio
Rimangon su quel campo, che le accoglie,
Come pattume, a far cenere, o fime;
E poi che tronche sien codeste vette,
Temp’è di ricomporre il lavorìo
Per cominciar l’atteso frutto a trarne.
Quelle manate, che fin’ora in pugno
Strigner potevi, tempo è d’impinguarle,
Sicchè di trenta al più legate, e strette
Se ne componga un ben polputo fascio,