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In ordinanza tal ti sieguan presto,
Che a tutti ove suo ferro usar rimagna.
E uno, e due, e quanti afferrar puoi
Col pugno, e sottometter al tuo braccio,
Recidi pur fin dal più basso piede,
E quanto puoi, vicino a la radice;
E sappi, che la canape nel piede,
Piucchè altrove del corpo, have il suo pondo.
Non lellar già, nè t’appilotta punto,
Ma curvo giù ti piega quanto sei,
E quanto puoi, sempre tagliando in giuso
I giallicci virgulti, e insiem maturi:
Che i verdi per ancora alquanti giorni,
Come maschj, an di vita il privilegio,
Se privilegio si può dir la strage
Veder su gli occhj de’ fratelli suoi,
Nè poter l’ira poi sfuggir medesma.
Chino tanto però non ti vogl’io,
Che in su non alzi qualche volta ’l ciglio,
E non adocchj qual virgulto porti
Il cimier verde, e sia carco di seme.
Tal passaporto ha questo, e tal patente,
Che dei fargli un inchino, e a mani basse
Oltrepassarlo: egli è siccome appunto
La fortunata candida cervetta
Di Cesar già, cui stava al collo scritto:
“Di Cesare son io: nessun mi tocchi.
Ma verrà ben, tempo verrà, che in tutto,
La livrea rispettabile deposta,
Cadrà del ferro tuo sotto ’l macello.
Pien che di questi tronchi ’l fianco avrai,
Piegali in terra su lo stesso campo,
Che t’avrai fatto raso: ivi deponli