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O misero cultor, che ne dirai?
Tu, che aspettavi ’l maturar vicino,
Ne vedi, e palpi l’insanabil morbo!
Cresca pur, cresca la tua verde pianta,
(Se crescer può chi di veleno è tocco)
Che dimezzato il frutto alfin n’avrai,
Se pur tal merce alcun sia che mai cerchi,
E piuttosto non stia chiusa e negletta
Nel tuo fondaco, e alfin poi ti riduca
In duri spaghi a convertirla, o in funi,
Pel nero tiglio che la copre in vetta.
Ma lungi omai gl’infausti vaticinj.
Tu guarda se sia ’l tiglio ben maturo,
E non più cresca, e non più forza acquisti,
E ti prepara a la vicina messe.
Vanne al tuo tetto allegramente, e chiama
La famigliola tua come a consiglio.
La numera, se basta a tutta l’opra,
Giusta del canapajo la misura.
Non curar fanciulletti, e se v’ha alcuna
Donna, cui ’l ventre per pregnezza esuberi,
Non la contar, perchè non vale a l’uopo,
O se val, può valer con suo periglio,
“E il pentirsi da sezzo nulla giova.
Del resto, e giovinette e garzoncelli,
Quanti n’hai, tutti invita, e le taglienti
Falci prepara, già riposte un anno.
Lauta cena imbandisci, e sia più carco
Il desco, e se mai puoi, l’elena sia
Il raviuol, cibo festivo, usato
Allora sol, che lieto si convive.
Ciascuno i sonni suoi dorma contento,
E aspetti ’l dì che a faticar lo chiami