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Con tal pennacchio zazzeruto, e bello,
Che tu stesso dirai: questo è ’l suo fine.
Le foglie a guisa d’un’aperta mano
Vedrai che cresceran merlate ed aspre,
Nè sì frequenti, ma di tratto in tratto,
E per quanta è una spanna, almen discoste:
Ma piucchè s’alza il fusto, allor più belle,
Più fresche, e di color tra verde e bruno.
Così ancor verderognola è la scorza,
Che in fila divisibili si stende
Giù da la vetta fino a l’imo piede.
E’ l’odor nauseoso, anzi che grave,
Come di cosa che addormenta e alloppia:
Legnosa è la radice, e poche ha barbe:
Bianca, e di fibre contornata e cinta.
Questo è il ritratto ch’io so farti; aspetta
Che s’innalzi al suo fin la pianticella,
E allor vedrai se buon pittore io sono;
Anzi buon notomista al par del grande
Marcello, onor de’ bolognesi studj,
Che un dì sì ben notomizzò le piante.
Ma pittura peggior talvolta farti
Potrei, qualora il cielo in questi giorni,
Sotto gli occhj del sol chiaro e lucente,
Nimico si dimostra al verde orgoglio
De l’innocente pianticella, e manda
Tal velenosa adusta pioggia in giuso,
Che n’aduggia la vetta, e le sue chiome
Annerisce, e contamina ad un tratto;
Onde ’l tiglio già verde, e la cannuccia,
In quella parte che più al ciel fa mostra,
Trista diventa per quel rio melume,
“E mezza quasi par tra viva e morta.