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Te chiamò ’l cielo a coltivar la terra,
E tu per questo sei al mondo nato:
Però non ti doler: la buona voglia
Fa lieve ogni fatica: altri con teco
Verranno, che tu sol non basterai
A terren vasto: ma quei che conduci
Abbian piè nudo; e se pur donna alcuna
Vorrai (che rara a quest’opra conviene)
Fa che le gonnelline abbia succinte,
E poco inverso ’l piè penda il grembiule.
Dico le gonnelline: or pensa poi
Se rustica venisse l’andrienne ,
E fosse uso di villa il guardinfante.
O’ sì, che l’ancor tenera piantuccia,
Da quel continuo flagellar di vesti,
Strazio orrendo n’avria piucchè governo.
Meglio, credimi pur, meglio è bandire
Di qua tal sesso, che arrischiarlo al danno.
Questa rassegna poi che avrai tu fatta,
Cessa, e ad altro ti volgi per sol tanto,
Che l’arbuscel via più crescendo avanzi,
E di più foglie in pochi dì s’ammanti,
Ma tenerelle foglie, e giù pendenti,
Quasi appassite per rugiada molle,
Come suol veltro per la caccia nato,
Senza le forti fibre, che sostegno
Facciangli, aver il muscoloso orecchio.
Indi rivisitando la cultura,
Vedrai, se d’erbe forestiere alcuna
Radice abbia d’alzar la cresta orgoglio,
Nè temuto abbia il tuo sarchiar primiero,
O sia ’l roncar, che il popolan qui dice.
Se tutto di novella primavera,