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Picciola sì, ma necessaria parte,
Ed util molto a chi n’intende il pregio,
Vi gitto ancor di stabbio colombino,
O d’arida pollina, e trita in polve,
Che nel canestro preparata stammi
E mista insiem col canapino seme:
Questo miscuglio, ch’io vo rovistando
Con la mano così, di tratto in tratto,
Fa come appunto ruvida camicia
Di novello capecchio: a chi la porta
Ne la cotenna un tal prurito desta,
Ed un irritamento sì pugnente,
Che soffrir non potendosi la vita
In quel saccone dimenando spesso,
O pur le mani, e l’ugne ancora aguzze,
A grattamento tal venir conviene,
Sicchè il fusto si scuoja, e sangue schizza.
Un caldo allora per la cuticagna,
Un’afa si risente, e un tal bruciore,
Ma insieme un traspirar sì saporito,
Che tutto vi rallegra, e vi rinforza:
Così lo stabbio fino approssimato,
Inviscerato, e dibattuto molto
Con la semente, spigne in quella guscia
Certe punte invisibili, ma acute,
Che tutta internamente l’innamorano,
E lo spirto prolifico sciogliendo,
Rompon la scorza già sì dura, e arsiccia,
Come l’uovo sol far pulcin nascente.
Più di leggieri avvien ciò che non suole
Avvenir con quel solo primo primo
Letaminar di stabbio grossolano.
Così dal punto che si gitta ’l seme,