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Di polli, allarga, allarga pure il pugno:
Venticinque fiate empi lo stajo,
E fino a trenta, ma più in là non passa;
E o de l’uno, o de l’altro è in tua balìa
Di tanto darne ad ogni tornatura,
Che tu di te puoi contentarti, e ’l puote
D’un tal tributo la tua terra ancora.
Il desiato tempo allora è giunto,
Che tu dia mano ad impregnar la terra
Col prolifico seme. E qui convienti
Qual sia conoscer la miglior semente,
Pria che la butti a seppellir nel campo,
Nè invano ’l frutto in sua stagione aspetti.
Però m’ascolta, e ogni mio detto poni
Tutto in riserva ben ne la tua mente.
Non ogni seme atto è a produr buon frutto.
Tal ne dà la natura, che traligna,
E la speme non men, che gli occhj inganna.
Tratto che ’l seme sia da la sua guscia,
E ben asciutto per virtù del sole,
Fa che lo purghi da la polve il vaglio,
E i rimasugli inutili ne scevri:
Poi lo ripon, per conservarlo, in vaso
Di cotta creta, che di fresco abbonda,
E per porosità l’aria riceve;
Coprilo sì, che ’l topo ingordo, o pure
Non tel rubbin le provide formiche;
E in tal conserva, purchè spesso il vagli,
Durerà sua virtù feconda, e intatta
Per quanto tempo il sol due volte giri
Del Zodiaco la fascia in tutti i segni;
E sappi, che di due stirpi si danno
Semi, e di due livree coperti il dorso: