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Il canapajo tuo già ben disposto,
Che come fior rugiada, il seme aspetta.
Quel dì poi che cominci, empier tu dei
Più d’un canestro, e sien quei che al Settembre
Per coglier l’uve, e vindemmiare adopri.
Quanti canestri avrai, tanti ne colma
Di questo fime, e tanti uomini e donne
Accorda, che sien teco a quest’impresa.
Vattene al campo: ivi ciascun si sparta
In lontananza, quanto un braccio puote
Vibrar cosa che in pugno abbiasi stretta:
Poi da l’un capo del terren già culto
Ciascun cominci a pugna piene, e spesse,
A sparger quanto può quel prezioso
Escremento raccolto, a passi andanti;
Nè già si penta se un medesmo sito
Due volte e più si carica a bizeffe
Di questa lorda polverosa pioggia:
Giova qui l’esser prodigo, e pentirsi
Non val dappoi, se ti mostrasti avaro.
Il giorno finirà, ma non finisca
Il tuo lavoro: in altro dì ripiglia
(Purchè pioggia il tuo oprar non interrompa)
Ripiglia a sparger dove non spargesti,
Sicchè la colombaja, ed il pollajo
Vuoti, e que’ sacchi ancor, che già mercasti
Dal venditor falsario a caro prezzo.
Pur tu vorresti a regolar la mano
Una giusta misura; or io darolla.
Se ciò che butti, colombina sia,
Dodici volte n’empierai lo stajo,
E un’altra ancor (e l’avarizia muoja.)
Se poi più agiato è a te l’usar concime