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E notte gli animai chiami al riposo.
A l’apparir de l’alba poi, lasciando
I giuvenchi a le stalle, il buon cultore,
D’jer sera sul lavor gli occhj aguzzando,
Vedrà se tutto sia d’egual pianura.
Allora, di badil la mano armato,
Noti ’l sito opportun, dove cadendo
L’acque, per sorte, congregar si possano,
E giusta a quel declivio, a cui natura
Le porta, ivi con l’arme astata, e aguzza,
Cavi più solchi scolatoj, da l’una
Parte passando a l’altra, infin che truovi
Il maggior solco, o la maestra fossa,
Dove la neve liquefatta, e l’acque
(Che spesso il cielo da le nubi scioglie,
Allor quando acquazzosa è Primavera)
Possan, quante mai son tutte acquacchiarsi,
Ed inzupparsi nel terreno incolto,
O passar nel comun largo acquidotto.
Così sicuro allor del tuo apparecchio,
Lascia in riposo i buoi, lascia ogni ferro,
Che ruggin prenda, ed al favor del cielo
Abbandona te stesso, e la tua speme,
Il pensier rivolgendo ad altra cura,
Fin che tempo opportun giunga a nuov’opra.
Giunto il sol poscia al declinar di Marzo,
Quando la terra s’innamora al caldo
Di Primavera, ch’ogni cor rallegra,
(Come già udisti al cominciar del canto)
Siccome padre, che la figlia voglia
Accompagnar col desiato sposo,
Oltre la dote già promessa in patto,
I nuziali arredi anco prepara,