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Da prepararti ’l canapajo , e ’l letto
Adagiar dove la semente cada,
Allor che ’l marzial mese declina.
Ciò tanto fassi tempestivamente,
Perchè il prossimo ghiado , e in un la brina
Nudrichi ’l campo, e in cener lo riduca.
E che non fan le gelide pruine?
Squarciano i monti, ed i macigni stessi,
E le più annose querce: or che faranno
Poi de la creta vil, benchè ostinata?
Che se mai de la forza diffidassi
Del ghiado, o pur, che ’l Verno a noi venisse
Dolce, temprato, a suo bell’agio, e senza
Il venerando pelliccione intorno;
E però dure e immobili le creste
De la tua terra rimanesser anco,
Nè si squagliasser per virtù di freddo;
Tu con più di due mani, e di due braccia
(I robusti garzoni adoperando
Carchi di grave mazzapicchio il pugno,
Per retroguardia del tuo curvo aratro)
Rompi le glebe incolte, e turbatrici
De la bramata egualità del campo.
Questa festosa schiera giovenile
Può la fatica alleviar col canto;
E più, s’è qualche villanella seco,
Che d’amor punta, gli altri a l’opra desti.
Tal gara insorgerà fra d’essi allora,
Che ciascun cercherà d’esser gagliardo,
E nel lavoro d’ottener la palma,
Rompendo a forza di pesanti colpi
Le dure glebe, e i ruvidi matoni,
Fin che l’ombre s’allunghino dei monti,