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Che a peso d’oro, ed a misura corta,
Col privativo titolo d’appalto,
285Qual peruviano balsamo si spaccia.
Ma in tempo di penuria alcuna volta,
Son saporite, a par del pan, le ghiande
Vo’ dir, che dove non abbondan prati,
O regie stalle, e si coltiva ogni angolo,
290Sicchè appena un sentier si trova aperto
Dove varcar, forz’è soffrire il giogo,
Ed appigliarsi a qual t’offra, o dannoso,
O inutil stabbio il venditore avaro:
Sicchè tu rivestendo il tuo terreno
295Di questo abbominevol putridume,
Dovrai da l’arte ricercarne aita,
Per far che ancor l’infruttuoso frutti.
Perciò al lavoro muterai tenore,
E per più inviscerar dentro ’l tuo campo
300Quel boja, che pagar pur ti convenne,
Pria di squarciar la terra, copriraila
Di questo fime contumace, e dopo,
Per più sempre celarne anche la vista,
Tutto quant’è seppellirailo arando.
305Poi nuovamente nel prefisso tempo,
La terra col tuo vomer ritagliando
Trarrailo a l’aria umiliato, e domo.
Indi, allor che depositar vorrai
Con la semente il tuo tesor nel solco,
310Nel tumulo di pria buttal rovescio,
Come cadaver interdetto e infame,
La fronte al ciel di rialzar non degno.
Così per tre fiate risorgendo,
E altrettante cadendo in sepoltura,
315La malvagia natura alfin deposta,