Pagina:Il canapajo di Girolamo Baruffaldi, Bologna 1741.djvu/40

Le sulfuree sue parti, e le oleose
A la terra che ’l tocca, e ne discaccia
La sterile natura, disponendo
220Ogni suo picciol atomo a far frutto.
Come l’industre profumier, che vuole
Tutta una stanza inebbriar d’odore;
Una stilla di balsamo odoroso,
Che versi su quel pian, già la fragranza
225Inonda tutte le pareti, e ’l tetto.
Ma tu sai la materia, e non ancora
Chiaro ben sai de la materia l’uso,
Nè la misura quanta basti, e quanto
Sia ’l capital, che qui metti ad usura,
230Prima che quel terreno si ritagli.
Ricordati però, ch’io qui favello
Del primo stabbio, e non del fino fino,
Che usar dovrai quando sarai sul punto
Di giù versare a piena mano il seme.
235Se sia ’l letame ben concotto, e trito,
(E ’l tempo è, che lo mostra) sicchè possa
Tagliarsi, e fender come densa pasta,
Che si maneggi per le man’ del cuoco;
Allor ne la tua mente hai da dividere
240(Come facean gli antichi Auguri ’l cielo,
Con l’indovino curvo lituo in mano)
La misura del campo, e ad ogni tanto
Di terreno, che compia un centinajo,
E di più ancor quarantaquattro tavole
245Di quadro piè, da cento piè per tavola,
(Dal che un’intera tornatura compiesi)
Coprilo tutto, come ben convienti,
Di cinque carri colmi di tal fime,
E nulla più; che tanto basta a darti