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Paludose non più, tanto eminenti
Le rese, ch’or non temono il furore
Del ruinoso fiume, onde son nate.
185Questa novella spoglia ivi deposta,
Steril rena fu già, reliquia infame
Di quel fiero ladron ch’ivi trascorse,
Nè per gran tempo a provida cultura
Valse, neppur fil d’erba ivi allignando.
190Se non che l’arte con l’industria unita,
Di tanta e tal pinquedine coperse
L’aridità de l’arenoso suolo,
A stagion per stagione inviscerandola
Col vomer curvo nel midollo interno;
195Che mutò faccia, e fruttuoso apparve.
Dal terren dunque, che di sabbia abbondi,
Sperar non dei di canape ricolta,
Senza l’aita de lo stabbio immondo,
Pel lungo corso di molt’anni e molti,
200Onde ’l letame soffochi l’arena,
E appena dir si possa: fin qua giunse
Il fiume, e appena il suo vestigio appaja.
Ma se ciò fai, misura ben lo scrigno,
E la spesa da l’utile diffalca.
205Se non che quando ti riesca poi
Domar l’arena, e trasformarla in fime,
O te beato! finiran tuoi giorni,
Ma non finirà mai la pingue dote
Del tuo campo, e godranla per molt’anni,
210“De’ figli i figli, e chi verrà da quelli.
Però (s’è ver, che ad ogni mal non manca
Atto rimedio) a quella sterilezza,
E a quest’eccidio del tuo pingue erario,
Provida pose la natura il freno,