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In virtù di quel vario stiramento,
Di quel pestare, e riscoscender spesso
Tra que’ due legni ambo tormentatori,
S’andranno e stecchi e scheggie sminuzzando.
Così ’l vecchio, sebben perduti ha i denti,
Pur con l’ossee gengive masticando,
Tanto fa, che sminuzza anche le croste.
Nel così far vedrai tra legno e legno
Cader pioggia di stecchi: allor la forza
Rinvigorisci pur de le tue braccia.
Nè cessar dal flagel così per poco:
Ma ti ricorda, che quest’è la prima
Addentatura, nè son bene ancora
Tutte le scheggie conquassate e dome.
Ha da finir questo fioccar di neve.
Un sol non vidi mai pettine usarsi
Per lisciar chioma rabbuffata e incolta.
Tempo è di scuoter ciò che pettinasti:
Già l’operaria a te vicina aspetta
Il fascio primo, che a l’ingrosso è infranto:
Recalel dunque: essa non tanto stanca,
Come tu, de le braccia, ben potrallo
Riventilarlo, ed una pioggia spessa,
Anzi un diluvio, far cader di stecchi:
Dallelo, e prendi tu nuovo fastello,
Da sottometter del grametto al morso.
Siegui trattanto, e non ti perder molto
O forosetta, a guardar d’occhio bieco
Il villanel tuo caro, perchè porta
Fitto nel cappelluccio un amaranto,
E tu lo credi un don de la rivale.
Anche tu ne l’occhiel del gonnellino
Porti una rosa, ed ei non se ne duole,