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(E così l’altre, che verran dappoi)
Vedrà che tutto in fila s’è converso
Ciò ch’era pria tronco legnoso e duro,
E dovrà forte scuoterlo a due braccia,
E ben più volte alzando, e ribassandolo,
E allargando la rete del suo tiglio,
Farà con questo ventilar, che giuso
Piombin le scheggie fatte, ed ogni stecco,
E resti quanto puote il tiglio mondo.
Nè speri già di tutto ripurgarlo;
Altro a ciò si richiede, altro processo,
E nuovo esame di tormenti a forza.
Dopo a l’ingrosso le manate scosse,
Di quante n’ha (torcendole in obbliquo)
Un fastellotto, e se può dirsi, un gruppo
Attortigliato, senza nodo, formi;
E tutte tutte in cumul le riponga,
Per man d’altro garzone ausiliario,
Che mancar qui non dee per buon governo.
Finchè questo flagel dura in vigore,
Truppa diversa di garzoni, e donne
Stassi in disparte, ma ne l’aja stessa,
Tutta ad altr’opra intenta, e in gozzoviglia,
Per quanto porta un intermezzo solo,
Tra ’l faticare, e ’l ristorarsi alquanto.
Que’ fastelli, cui già rotte fur l’ossa,
E attortiglione in cumulo fur messi,
Passano ad altra man, per nuovo ancora
Soffrir martirio, e meglio raffinarsi.
Vedrai due nuovi panconcelli in piedi,
Disposti sì, che l’un dia loco a l’altro,
Nè al vario lavorar ostino punto:
Questi gli eculei son, dove ciascuna