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De l’impugnata, ben tornita, e liscia,
E sorbigna maciulla il pancon tocchi,
Che gran dolor n’avria la mano, e ’l polso.
Colei, ch’è ’l mobil primo del lavoro,
E schiava sta dannata a quel flagello,
Ben cauta la manata in grembo tegna
Ne l’atto, che strignendola nel pugno,
La sporge fuori a la tempesta dura,
Onde alcun troppo violento colpo,
(Colpo d’innamorato giovinastro
In cui amor forza a natura aggiugne)
Non gliela strappi d’improvviso, e mandi
Il tiglio, ed il manipolo in soqquadro,
Nè più modo vi sia di districarlo.
Attenta ancora stia (se può) al lavoro,
Nè gli occhj di leggier pianti nel viso
A l’uno, o a l’altro percussor: può questo
Far sì, che troppo inavvedutamente
Le mani avanzi, e non più ’l colpo cada
Su la manata no, ma su le mani,
E vergogna ne senta, e n’abbia offesa
Da la percossa a precipizio data
Da ch’indiscreto fu fin da la culla,
Nè possa a l’opra più servir quel giorno.
Anzi, se in alcun d’essi va occhieggiando,
O compartendo pur qualche sogghigno
A quel che più fa seco a la civetta,
Può destar gelosia nel suo rivale,
E può con gelosia destar lo sdegno;
E di tai caccabaldole in sequela,
L’ordin de le battute alterar molto,
(Che tremor nasce in chi d’ira s’accende)
E quindi, per assalto di furore,