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E in questo vario tuono di battute,
Del loro amor la musica s’accorda.
Colui, che primo di Bertoldo scrisse,
(Bertoldo fatto di Poema degno)
Cantò ancor de la canape una farsa
Nel bolognese favellar, sì pregno
Di arguti sensi, e saporiti motti,
E in essa tutti colorì i costumi
De gli operaj, che a questo frangimento
De la macera canape dan mano.
Di là trass’io, non men che da una longa
Pratica, quanto (Albatica gentile)
Sarò per dirti in questi versi miei,
Sicchè basti a far dotti i tuoi villani,
Allora quando a villeggiar ten vai,
E tu lo scritto mio con la lor opra
Ne l’atto del travaglio confrontando,
Ne ammendi, o approvi ’l lavorìo che fanno.
Il loco del flagel, di cui qui canto,
Che siasi a cielo aperto cercar dei,
Ed ampio quanto ti bisogna a l’uopo,
Sì perchè gente molta è, che s’adopra,
Sì perchè ’l maneggiar de le mazzuole
Vuol libertà di colpo, e sì a la fine,
Perchè l’aria più giuochi, e spiri intorno
La polve a dissipar, ch’indi ne nasce.
E poi, se com’è l’uso, tu incominci
A piena luna, con quel suo chiarore
Ti possa ella tal dar luce, che basti
Tante cose a veder, quante conviensi.
Vero è, che se d’Autunno, allor che ’l giorno
A la vindemmia ogni villano invita,
Comincerai quest’opra strepitosa;