Pagina:Il canapajo di Girolamo Baruffaldi, Bologna 1741.djvu/108

Che floscia: tempo d’infrollarla è sempre,
E ’l lavorio poi tenera la rende.
Nè voler perciò batterla soverchio
Ne l’acqua, flagellandola ostinato,
Affinchè ’l verde spogli, ond’è vestita,
E dal suo cannevello si distacchi:
Così facendo tu la snerverai,
E filaccia, e non più, vedraine uscire.
Quel padre, che vuol far mutar costume
A l’insolente figlio, se lo batte
Spesso, più nel mal far l’inaspra, e indura:
Che se aspetta di porlo al lavorio,
E a le fatiche, ove in sudor si strugga,
(Sien militari, o sien d’industria, o d’arte)
Molle da se diviene, e allor si piega.
Se così vedi l’ostinata scorza
D’alcuna verga, quel color verdastro,
Ch’ebbe nascendo, non voler deporre,
Tralla pur fuor de la fetente cava,
Che poi passando, e ripassando spesso
Per le man’ de la rustica famiglia,
In varie guise, e in vario lavorìo,
Il color prenderà de l’altre ancora,
E come l’altre sue prime compagne
Rimarrà in un di peso, e di candore.
Che se ’l candor non si confà a la neve,
Non ti doler: l’eccesso sempre nuoce:
E così la soverchia candidezza
Poca forza dimostra in questa merce,
Perchè infrollata, e macerata è troppo,
E troppo è presta a far ciò che dovria
Far solo allor quand’è ridotta in tela.
Ma tu dirai: sarà dunque opra sempre