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340 IL BUON CUORE


ter la mano nei beni altrui, raddoppiando lo stipendio coi furti. E’ proprio vero che nessuno sappia quello che avete fatto? Non lo sanno gli uomini; lo sa Dio. Non sempre si riesce a conservare il segreto neanche presso gli uomini: piccolissimi indizi conducono talvolta a grandi rivelazioni. E allora balzano fuori improvvisi, inaspettati, certi scandali; che fanno inarcar le ciglia di stupore, di meraviglia, che fanno esclamare: come! il tale... la tale... hanno fatto la tal cosa! Chi l’avrebbe creduto? chi l’avrebbe sospettato? Molte volte la giustizia, colla umiliazione del reo, si compie anche a questo mondo. Ma se non si compie sempre nel mondo, nella vita presente, si compie sempre certo nella vita futura. Una delle principali ragioni del giudizio universale, è appunto questa: la rivelazione inevitabile, severa, delle nostre colpe dinanzi a coloro che abbiamo ingannato colle nostre avvedutissime imposture! All’opposto, il pensiero che Dio conosce tutto quello che fanno gli uomini, quale consolazione, quale conforto deve infondere negli animi degli infelici, dei tribolati, dei perseguitati, dei calunniati! Nessuno conosce le lagrime che voi versate nel segreto; le conosce Dio; le numera, le apprezza, già le mitiga, le asciuga colla pace della coscienza; colla speranza che la verità verrà un giorno a farsi palese; ma se non venisse à galla quaggiù, la vostra solenne giustificazione, il vostro trionfo, non potrà mancare altrove. Vi attende Iddio. Gesù Cristo aggiunge: se alcuno vi dirà qualche cosa, dite che il Signore ne ha bisogno, e subito ve li rimetterà. In questa frase è palese l’affermazione della padronanza di Dio. Dio è il creatore, Dio è il padrone di tutti: tutte le cose sono fatte per lui; tutte devono essere adoperate pel conseguimento de’ suoi fini; per la sua gloria; non mai contro gli ordinamenti della sua legge, non mai per offenderlo. Nella vita ’pratica, riconosce l’uomo questa padronanza di Dio sopra di sè; nell’uso ordinato delle cose proprie e dei beni altrui? L’uomo. vive libero, indipendente, come se nessuno fosse sopra di lui. Egli non si interessa di sapere se Dio esiste, se abbia parlato, se Dio abbia fatto dei comandamenti; o se lo sà, è per infischiarsi di Dio, de’ suoi comandamenti. Non serviam, è il grido audace che lancia contro le divine ordinazioni: non lo dirà colle labbra; lo dice, peggio, coi fatti. Non prega, non va in chiesa, non riceve i sacramenti; non è puro con sè; scandalizza gli altri con discorsi liberi, per non dire osceni; mantiene tresche che portano il disonore nelle famiglie; ruba a man salva nei beni delle vedove e dei pupilli, nelle casse dello Stato. Dio può ben chiedere qualche volta nell’adempimento del vostro dovere, il sacrificio della persona, il sacrificio parziale dei nostri beni: nel dare a Dio noi non facr".n.

ciamo che restituire una parte di quello che ci ha dato lui. Dalla parte di Dio una immensa liberalità; dalla parte dell’uomo una esosa grettezza! Quando Dio ci chiede qualche cosa, o nell’opera o nelle sostanze, quando Dio, che è padrone di tutto, usa con noi la frase: ho bisogno da voi della tal cosa, siamo lieti ed orgogliosi, di poter rispondere affermativamente all’invito di Dio. Il padrone dell’asina e dell’asinello, non contrastò alla domanda fatta da CriSto: i disupoli vennero, i discepoli trovarono, i discepoli chiesero, i discepoli, parlando a nome del Maestro, ottennero subito quanto desideravano. Come è bella questa pronta accondiscendenza dell’animo ai voleri di Dio! E’ ubbidienza? è ricompensa? è generosità? è gentilezza d’animo? è compassione? E’ un po’ di tutte queste cose assieme: è un mutar la volontà dell’uomo nella volontà di Dio; praticamente è un viver della vita di Dio.

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Dio sapiente... Dio potente... parrebbe che la conseguenza immediata, naturale, di questi due attributi dovesse essere... Dio glorioso, Dio sovrano! No; invece è Dio mansueto, Dio buono, Dio indulgente, generoso. Conducono a Cristo l’asina e l’asinello. In essi i Santi Padri leggono il simbolo dei due popoli: il popolo ebreo e il popolo gentile; il popolo ebreo già adulto nel servizio di Dio, il popolo gentile che fra poco sarebbe chiamato a partecipare all’eredità di Cristo, popolo ancor giovinetto, anzi, moralmente parlardo, ancor non nato. Gli apostoli e i discepoli distendono sopra di essi le loro vestimenta; molti delle turbe fanno. ancor di più: distendono, in segno di omaggio, le loro vesti per terra. Altri tagliano dei rami, e li gettano, in segno di festa, sulla via. Il trionfo, per essere completo, ha bisogno di una parola, di un canto. Il casto non mancherà: sarà preso dalle tradizioni nazionali ebraiche: è il canto di saluto, di omaggio, al Messia: Osanna al Figliuolo di Davide; benedetto Colui che viene nel nome del Signore; osanna nel più alto dei Cieli. A questo modo Gesù Cristo entra in Gerusalemme; è un ingresso di pace, di mansuetudine, di umiltà; è questo l’ingresso che Gesù Cristo vuol fare, desidera di fare entrando nell’anima di ciascun di noi, non accompagnato dallo spettacolo della grandezza che impone. che opprime; ma coll’amore, colla persuasione, colla pace. che attrae, che convince. E alla mansuetudine, all’amore di Cristo, dovrebbe corrispondere la riconoscenza, l’esultanza nostra. Riconoscenza di cuore, di parole, di persona, di opere, come è la riconoscenza oggi manifestata dalle turbe. Che spettacolo edificante, commovente! una parte Dio mansueto, Dio buono, dall’altra l’uomo riconoscente, esultante!