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214 IL BUON CUORE


za che il Re, come simbolo e come persona, doveva avere nel favorire i destini della patria. Non appena il ministero, abbandonando il principio (li neutralità condizionata, proclamò la guerra all’Austria, il Re, come simbolo e come persona, emerse subito al di sopra del movimento generale, unificando in se l’indirizzo comune, rappresentando in se l’Italia nel suo diritto, nella sua forza, nelle sue speranze. E ciò senza sforzo alcuno, come una forza latente che scoppia per movimento naturale. Il Re divenne subito un elemento popolare: era già nella coscienza del pubblico: i giornali, anche quelli di fede monarchica assai dubbia, si posero ha coro ad elogiare il Re, ad esaltare il suo slancio nel mettersi a capo dell’esercito; nell’associare alla guerra tutti i membri della Casa Reale, nel mostrare in via di fatto che Re e nazione sono una cosa sola. E non è a dire quanto questo fatto abbia contribuito a dare forza, unità al movimento nazionale della guerra, in Italia e fuori d’Italia, a eliminare l’infiltratrazione di elementi eterogenei, che pure eminenteniente patriotici, avrebbero compromesso la compaoine dell’unità nazionale Ricordiamo il pericolo garibaldino. Che Peppino Garibaldi fosse andato in soccorso della Francia, non era un male: era una iniziativa generosa, che onorava chi l’aveva presa, che faceva bene alla Francia, senza far male all’Italia. Il male nacque quando alla spedizione garibaldina si volle dare il carattere (li rappresentanza dell’Italia, indipendentemente dal governo nazionale italiano, indipendentemete dal Re Vittorio Emanuele III. • Giammai nei proclami del corpo garibaldini si parlò del Governo italiano, dell’Italia come è attualmente costituita in governo monarchico costituzionale: si parlava dell’Italia, come se l’Italia fosse rappresentata solo dal corpo garibaldino, rappresentata al presente, per prepararsi, colle vittorie sperate, a rappresentare l’Italia nel futuro. Si tendeva a sostituire la forma repubblicana alla forma costituzionale. Col dire a voce di seguire il generale Giuseppe Garibaldi, Beppino Garibaldi, in via di fatto, faceva il contrario di quello che aveva fatto -il suo.avo: la spedizióne dei mille, l’opera più importante e più benefica di Garibaldi, fu da lui intrapresa al grido esplicito di: Italia e Vittorio Emanuele [I. E fu quel grido che ha fatto la forza e la vittoria della spedizione dei mille. Nella spedizione di Beppino Garibaldi invano si cerca un cenno anche in(Inetto della monarchia costituzionale italiana, un cenno di Vittctrio Emanuele III! Io non dico che questa esclusione sia stata la causa dei disastri alle Argonne: la causa sta in un guaio intrinseco della spedizione, sta nella tattica di un corpo di volontari, tattica tutta di impeto e d’iniziative individuali, in una campagna che si è dovuta svolgere coi lento apparecchio di trincee di masse enormi di combattenti, col sussidio di potenti artiglierie. Non si può però negare che quel movimento, pur coll’ammirazione dei fatti di coraggio

individuale, non fosse seguito in Italia, con un senso poco simpatico di diffidenza, come alla minaccia di un pericolo che si stesse preparando in seguito pel governo italiane: ogni vittoria dei Garibaldini in Francia, si risolveva, nell’intento di molti, in una sconfitta della. monarchia di Savoia in Italia. E questo era un male, un gran male. Non si riflette abbastanza da molti quale importanza sostanziale alla compagine, alla forza, alla stabilità d’una narzione, abbia la tradizione abbia un a dinastia che pre, senta al suo attivo principi gloriosi, lotte sostenute, vittorie conseguite, che diventano il patrimonio di tutta la nazione: specialmente quando questa nazione è l’Italia, per indole molto individualista, per storia divisa da secoli. Riguardo alla importanza della monarchia di Savoia per la grandezza, la forza, l’unità d’Italia, crediamo verissimo per Vittorio Emanuele III ciò che un distinto scrittore francese, il signor Anatole Leroy Beaulieu, scriveva nel 1878, per Vittorio Emanuele II, all’indomani della sua morte. «Più io considero la situazione dell’Italia, più mi. sembra’ che al sud delle Alpi la monarchia non è come in Francia una forma di governo che si possa modificare senza pericolo per la vita dello Stato; la monarchia è, per un certo numero di anni, almeno, una delle condizioni di esistenza della nuova Italia. ’La casa di Savoia non è solamente il simbolo vivente della nazionalità italiana; è il legame più sicuro dell’unità, e il nodo che tiene più solidamente riunite lè provincie della penisola. La rottura del legame monarchico minaccerebbe d’infrangere temporariamente lo stato e di lacerare la nazione per non lasciarli ricostituirsi se non al prezzo di nuove sofferenze e di nuovi sacrifici. La Casa di Savoia è una delle dinastie d’Europa il di cui avvenire sembra il meno incerto, perchè è una delle più necessarie al suo popolo. Di tutte le famiglie sovrane del continente, e forse quella, che secondo la promessa di Vittorio Em. II, si è mostrata la più capace di conciliare il progresso dei popoli con la stabilità della monarchia.» Il generale Ricciotti Garibaldi ha condotto dinnanzi al ministro della guerra i suoi figli, perchè venissero incorporati come soldati semplici nell’esercito italiano. Benissimo! Fu un atto di criterio e di patriottismo, che onora,chi lo ha compiuto, e conforta chi lo osserva. Crescano i figli di Garibaldi insieme ai soldati dell’esercito italiano, e il loro valore, non sia hiù in contrasto, in antagonismo, ma un contributo al valore di tutti. Il Re d’Italia, Vittorio Emanuele III, sia il re ricoonsciuto e amato da tutti, e gli atti che egli compie siano salutati come un patrimonio di speranza e di gloria per tutta la nazione! Ne ricordo solo alcuni caratteristici. Il dividere l rancio coi soldati semplici, atto che colpì un repubblicano che ne scrisse commosso alla madre; la stretta di mano al sacerdote salesiano Rubino, già residente a Trieste, compensandolo delle ingiuste accuse fattegli di austriacanre, e l’ultimo più caratteristico