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154 IL BUON CUORE


T’allegra, o povero, questo è il tuo suon. e quelle del Vecchio Sergente; con Rataplan, rataplan, rataplà. Chansons anciennes à quatre voix pubbliNelle cate da Nicolas Chemin a Parigi nel 1551, si trova questa strofa meravigliosa: France! France! France Courage! courage! donnez des horions. Patipatac trique trac zou zou trinque trac Tue, tue, tue, chipe, chape! nella quale l’autore ha voluto imitate il frastuono di un combattimento, come del resto è ben chiarito dalla parola tue, tue, ammazza, ammazza! Precisa mente come certi disegni. si capisce benissimo ciò che vogliono rappresentare, purchè vi sia scritto sotto. In questo genere di armonie imitative molto si sonò sbizzarriti i poeti maccheronici. Il francese Frey cosi descrive il suonare a sturino delle campane in una sommossa: Extemplo esmeutae signum toxinus ab alta Turre strepens, rauco quassatae murtnure clochae Tin tan tin iterans, din don don donque sonabat! e un poeta spagnuolo imitò come segue il rimbombo dell’artiglieria in una battaglia: Horrida per campos bam bim bombarda sonabant. Anche l’antichissimo poeta Ennio si era permesso una onomatopea di questo genere volendo esprimere il clangore della tromba; ma il noto verso che lo contiene, potrebbe essere scambiato anch’esso per uno dei più bei parti dei poeti maccheronici: At tuba terribili sonati taratantara dixit. Questo genere di imitazione armonica se può passare nella poesia popolare e se talora può riuscire efficace nella poesia scherzosa, è assolutamente fuori di posto nella poesia che vuol essere nobile e seria. In tutta l’opera poetica del Carducci, di simili onomatopee non si trova che il qua, qua, qua, delle oche nel Canto dell’Italia che va in Campidoglio, ma è poesia terribilmente satirica. Similmente J. J. Rousseau, con analogo artificio, imitando del resto Aristofane, ha cercato di riprodurre il gracidar delle rane, ma in una poesia del tutto giocosa: Aussita la bète aquatique Du fond de son petit thorax, Leur chante pour toute rnusique Brre ke ke ’kex, koax, koax. I.es compagnes criaient: merveilles! Et toujours fiere comme Ajax Elle cornait à leurs oreilles: Brre ke ke kex, koax, koax.... Forse non è stata a torto rimproverata al Pascoli la sua esagerata tendenza alla espressione musicale che- gli fa adoperare certe onomatopee arditissime, quali l’uuh... accennata più sopra, e lo fa giungere sino a voler tentare di riprodurre con dei sci/p, dei chif4, dei vitt, dei videvitt le voci di varie specie di uccelli, scrivendo per esempio:

Virb... disse una rondine e a volere persino significare inafferrabili suoni come: St... un rumore... Che cosa? Nulla: un, tarlo, un brandir lieve di porta. Si deve osservare per altro che il Pascoli è poeta di tempra assolutamente speciale. «Non esito ad affermare’— scrisse di lui il professor Vittorio non esito ad affermare che in lui l’espresCian sione musicale prepondera su tutte le altre, perchè più ancora che i colori, esercitano sull’anima sua di artista un fascino potente i suoni. E ciò mi ha confermato egli medesimo. Lo direbbero oggi, un uditivo; più semplicemente io direi che egli ha buon orecchio, che ha fine, squisito il senso dei suoni.» E invero certe poesie del Pascoli sono tutte un mirabile ordito di imagini musicali oltre che pittoriche, e spesso e molto bene egli dimostra di non aver bisogno di fabbricare speciali onomatopee per fare dell’armonia imitativa. Cosi, senza bisogno di ricorrere anch’egli al koax, koax aristofanesco, come fa in Nozze, trascrivendolo per giunta in caratteri greci, mirabilmente riproduce altrove il gracidar della rana, quando gli piace, nell’inerzia estiva.....ascoltare le cicale al sole E le rane che gracidano: acqua, acqua! La tendenza di questo poeta a riprodurre o imitare i suoni anche con semplici voci insignificative, deriva da un fondo di ingenuità fanciullesca che si unisce ai suo forte ingegno e al suo fine sentimento poetico. Infatti, nelle onomatopee che il Pascoli tanto predilige, vi è sempre qualche cosa di fanciullesco e che sa di trastullo. Per questo appunto si riscontrano quasi esclusivamente nella poesia popolare e nella giocosa. Esse invero non sono che un residuo della primordiale origine del linguaggio, origine di cui anche nelle lingue più evolute si riscontrano le traccie in un gran numero di vocaboli onomatopeici. Del resto, tutti sanno quanto nell’imitare i suoni ed i rumori si dilettino i fanciulli, e tra le persone del popolo e incolte non è difficile trovare chi, senza alcuna idea certamente di fare della poesia imitativa, anzi servendosi della prosa più volgare, cerca di rendere sensibile allo spirito di colui che ascolta l’oggetto che egli vuole descrivere, quasi voglia fargliene udire il suono, farglielo vedere, garglielo palpare. Vi è chi si sforza di ottenere tale effetto intercalando ad ogni istante nel discorso dei zunfete, dei panfete. dei patatrac, dei tracchete, e via... vociando. Per costoro il tuonar del cannone è un bum; zun zun significa musica; tic tac è.il rumore dell’orologio, ecc. E’ cia notare però che anche insigni oratori, per colorire e per dare forza al loro dire, non isdegnarono, parlando a un rozzo pubblico, di ricorrere a simili fanciullesche espressioni. Presso i popoli latini i predicatori, pur ricorrendo volentieri ad artifici oratorii in generale, hanno avuto ispirazioni abbastanza allegre. Un predicatore