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sua profonda bellezza. Tutto è bello qui: il canto degli uccelli, il mormorio delle acque, la calma della valle, il silenzio dei boschi danno l’idea di un luogo voluttuoso, incantevole, in cui l’anima si apre ai sogni più lieti. Trisulti, in mezzo a questa cornice splendida di tutti i colori, dolce di tutte le mezze tinte, bella in tutte le seduzioni, appare deliziosamente come una mole maestosa che mette sul bruno delle roecie e sul verde dei boschi, un solenne fastigio di biancori e di fulgori. Il fabbricato brilla, lampeggia, investito dalla luce del sole che sembra si riversa in fiumi d’oro sulla magnifica Certqsa. Per abbracciarne tutta la bellezza, bisogna contemplarla dall’altura di Civita. L’impressione grande riesce rafforzata la considerazioni che si offrono spontanee alla mente. Affacciandosi alla rocciosa altura di C ivita, dalle forme rosee e severe, un’esclamazione di lieta meraviglia erompe spontanea dal petto e accompagna il volo ampio dello sguardo sul panorama incantevole che si spiega dinanzi agli occhi superbamente. Immensa nel verde delle foreste, in mezzo a questa solutudine sterminata, la mirabile Certosa si presenta come una bella maga addormentata. In basso il fiume Cosa, nella pace solenne, si è scavato un corso sinuoso nel vivo calcare, e procede imponente e spumeggiante in mezzo a un impetuoso caos di rocce che vorrebbero arrestare il corso violento. Le onde si infrangono senza posa, ricadendo in fiocchi di spuma bianca. Quanta poesia emana dal rumore cadenzato di quelle acque! E’ tutta una dolce e limpida melodia che pare scaturisca per virtù meravigliosa dagli intimi recessi fluviali. Quel mormorio sembra una perenne canzone nuziale che culli i sogni della bella addormentata. Assai grazioso e pieno di poesia, a mezzogiorno della Certosa, scendo verso il fiume Cosa, si offre allo sguardo il Santuario delle Cese, meta di frequenti pellegrinaggi dei •paesi vicini. Quella vista affascinante, domina l’immaginazione, crea le illusioni, le fantasie più meravigliose, trasportando in una regione ultramontana. Il monte Rotonaria da questa parte scende giù quasi a picco, orrido e vertiginoso fino quasi al piede della valle ove corre impetuoso il fiume Cosa. La chiesolina sorge pittorescamente nel cavo della roccia, la cui apertura può misurare cinquanta metri di larghezza per trenta di altezza. Al disopra un masso enorme ha una lieve inclinazione sul dinanzi, così che al primo vederlo, si ha la terrificante visione che esso si stacchi dal monte e piombi, mostro terribile, a sconvolgere la gola sottostante in una convulsione di cataclisma immane. Nel ripiano brevissimo dove la roccia per quindici o sedici metri si incurva come a rentrare nella montagna, si addossa alla parete l’umile cappella bianca dalle linee semplici, dove si venera la prodigiosa immagine della Madonna delle Cese. Serve di comunicazione con la Certosa una

strado ripida, ma abbastanza comoda, che dal 1883 è venuta a sostituire la pericolosa scalinata, scavata nelle irregolarità dalla roccia, dal lato destro del Santuario. La Certosa è addossata alle falde del monte Rotonaria,: che si presenta maestoso e severo all’-,sservatore, formando una veduta invidiabile. E’ uno spettacolo magnifico ed imponente sia quando lé nubi l’avvolgono o le nebbie vaporose scherzano intorno alla cima sovrana, come pure quando l’aria pura e il sole lo recingè sfolgorante. Quella vetta si profila nell’orizzonte infinito, e sembra raggiungere i limiti estremi in cui la realtà si confonde col sogno. Su quell’altura è una calma profonda, un silenzio grave, rotto a quando a quando dal grido lugubre e stridente di qualche uccello di rapina che si libra nell’aria, molto in alto... Regina dello spazio e della solitudine, sul punto culminante, si eleva una croce gigantesca, che sfida le folgori e il ruggito delle tempeste: una croce di ferro che disegna negli azzurri la grande illusione di un mondo migliore del nostro. All’intorno della Certosa, dove nessuna mano si interpone a impedire o a favorire la vegetazione sul terreno roccioso, che il raggio del sole accende con assidua vampa, cresce una selvaggia e confusa famiglia di piante, che si diffondono in forme bizzarre e con le tinte più varie. In mezzo a quel bosco è tutta una vita che si agita e freme: rami che si curvano leggiadramente agli aliti del vento, fusti diritti che si confondono, si addensano nella chiara trasparenza dell’aria. Dalla collina di Civita si scende giù nella valle del Cosa. Il luogo è ridente e corso da fresche aure stimolatrici dell’appetito. Oltrepassato Ponte dei Santi, la via sale rapidamente sul monte Rotonaria. In un’ora e mezza di erta, ma amena salita, fra scogli rocciosi, fra macchie e boschi, si giunge su un ampio ripiano, nel mezzo del quale sorge pittorescamente la Certosa di Trisulti. Poco prima di giungere alla Certosa, la nostra attenzione è richiamata da la grotta di San Domenico, scavata naturalmente nella viva roccia, larga in. 4.5o. Nel 1683 lo speco fu fatto chiudere a forma di cappella dal priore Cacciamani, il quale vi fece costruire anche un altare nell’interno. Quivi negli ultimi anni del secolo X si ritirò Domenico da Foligno, già monaco benedettino. Nel 999, cedendo alle istanze di alcune pie persone che desideravano seguirlo nella disciplina monasica, fondò una badia nelle vicinanze della sua grotta, presso una sorgente d’acqua limpidissima, dedicandola a S. Bartolomeo Anastolo. S. Domenico rimase nella Badia di Trisulti dedici anni. In seguito passò a Sora per una nuova fondazione, la badia di S. Domenico, dove morì il 22 gennaio 1031. I monaci benedettini abitarono il monastero di S. Bartolomeo quasi duecento anni, finchè, venuta