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IL BUyiN LIJOIZE ca deve esistere fra arte religiosa e arte profana. Ma non si è ancora detto abbastanza chiaro in che cosa debba consistere questa’ differenza. Il punto è tanto più necessario trattarlo, in quanto che ci si presenta firì da principio nientemeno che, spaventosa obiezione, una recisa testimonianza di Michelagelo il quale ha scritto: «La buoa pittura è nobile e devota in sè stessa; imperocchè presso i saggi nulla eleva più l’anima e la trasporta maggiormente alla devozione, che la difficoltà della perfezione che si accosta a Dio e a Lui si unisce n. E’ spaventosa l’obiezione, perchè, se l’autorità del genio è sempre grandissima, quella di Michelangelo in fatto d’arte è decisiva senz’altro. Nondimeno il Margotti osserva bene che le parole stesse del grande artista li suggeriscono la risposta alla sua difficoltà. Michelangelo asserisce che per i saggi o’ gni pittura che sia veramente buona pittura è divota,,conducendo a Dio. Ma in ciò stesso si vede che egli richiede due condizioni. La prima è che colui il quale contempla l’opera artistica sia saggio, vale a dire uomo avvezzo alla riflessione, e quindi a considerare più che la bellezza e la verità delle cose espresse, il modo, l’arte e la difficoltà dell’esperiMeritarle; e questo è proprio dell’artista o del critico d’arte. La seconda è che la considerazione della difficoltà sovranamente vinta conduca a pensare a Dio e ad unirsi’ a Lui. E questo certo non si, verifica in qualunque contemplatore per quanto sia artista o critico fine, ma solo in colui che è saggio in tutta l’estensione del termine, vale a, dire è profondamente cristiano e sinceramente divoto. Ricordiamoci che S. Teresa trovò un giorno occasione, ce lo racconta essa stessa, di sollevarsi ai più sublimi gradi dell’orazione e di penetrare nelle più intime mansioni del suo castello, il contemplare i mille graziosi gingilli e le mille brillanti vanità, probabilmente non tutte in gran fatto artistiche, ché figuravano nel

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salotto di una dama spagnuola. E capiremo che in questo senso, evidentemente l’unico senso ovvio delle parole di Michelangelo, ogni opera di vera arte può dirsi opera divota. Molto affine a questo è il senso che si può attribuire alle parole così conosciute di John Ruskin: «Ogni vera arte è adorazione a; in quanto che ogni perfetta opera d’arte è perfetta imitazione della natura. E la contemplazione è sommamente atta a condurre chi è filosofo e cristiano al riconoscimento e quindi all’adorazione di Dio. ’Ma quando noi parliamo d’arte sacra, pretendiamo che essa sia sacra, cioè capace di portare alla preghiera e all’unione con Dio anche chi non è avvezzo a sottili riflessioni, anche chi non s’intende d’arte, anche chi non è filosofo, anche chi non è pronto a sollevarsi a Dio dalla contemplazione di qualsiasi opera di Dio. La lettura di un poema non è primamente destinata a insegnarci le regole della metrica: l’audizione di una sinfonia non ha per iscopo di svelarci i misteri del contrappunto: non ci si fa entrare in una basilica per dimostrarci i teoremi della statica: non teniamo l’orologio in tasca per imparare la teoria dello scappamento o quella del regolatore. E così nel contemplare un quadro badiamo anzitutto a quello che esso ci rappresenta; ed è solo l’artista che si fermerà a considerare l’arte della prospettiva, a sicurezza del disegno, la maestria nella fusione dei colori. E quindi non chiameremo religiosa l’opera d’arte se non quando essa sarà capace di alzarci a Dio per ciò che ci rappresenta, non già solo per l’arte della rappresentazione. Poichè scoprire questa nel monumento artistico è opera di riflessione che presuppone lunga educazione e lungo studio; e scoperta questa salirne a Dio non è che da mente già profondamente imbevuta di cristianesimo e altamente sollevata dalla materia.

(Continua)

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Domenica VI dopo l’Epifania

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