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IL BUON CUORE 355


Fortuna volle che l’incidente coincidesse con l’agonia del Terrore. Furono liberati dopo pochi giorni di prigionia, alla vigilia di essere ghigliottinati. Lo zelo di questi eroici preti, così meravigliosi nel creare risorse per il bene del popolo minuto, s’accresceva naturalmente quando trattavasi di rendere possibile il conforto religioso in sollievo delle vittime illustri della Rivoluzione. La sorte dell’infelice regina Maria Antonietta imprigionata nella Concergierie, tormentava -un gran numero di fedeli e di preti; ad Orléans non si aveva avuto timore di indire •pubblicamente una novena di preghiere per lei; le suore della cartià di San Rocco si torturavano al pensiero che Sua Maestà, privata da più d’un anno di ogni conforto religioso poteva da momento all’altro salire il patibolo. Ma la detenuta era strettamente sorvegliata, chiusa in una cella donde non usciva mai, sconosciuta a tutti, e guardata a vista giorno e notte da due gendarmi. Come era possibile penetrare fino a lei? Eppure un povero prete ebbe il coraggio di affrontare tutti gli ostacoli; di più ancora, osò dire la messa nella cella della regina, di comunicarla e di associare alla divota cerimonia nientemeno che i due stessi gendarmi incaricati dal tribunale di guardare a vista la regina. Il fatto ha dell’inverosimile, eppure esso venne fatto conoscere all’epoca stessa della Restaurazione e si basa su documenti di valore incontrovertibile. Nel prossimo 16 ottobre si commemora il centoventesimo anniversario della esecuzione capitale dí Maria Antonietta’ perciò rievocare, sulla scorta del nuovo storico, l’interessante episodio rivoluzionario può avere un sapore di attualità. L’abate Emery, come è facile immaginare, non tardò a sapere che la regina era ospite come lui nella stessa prigione e valendosi del prestigio che si era conquistato potè, superate alcune difficoltà, avviare con lei una attiva corrispondenza. Il suo biografo dà per certo, sulla testimonianza stessa dell’Emery, che egli fece pervenire un giorno alla augusta prigioniera un biglietto concepito in questi termini: «Preparatevi a ricevere -la assoluzione oggi a mezzanotte; io sarò alla vostra porta e pronuncierò le parole sacramentali». Tenne la parola; a mezzanotte protetto dalla °scu rità, sostò davanti alla porta della cella regale, udì i sospiri e i singhiozzi della regina e l’assolse. Tutto ciò non era conosciuto al di fuori dove gli amici di Maria Antonietta prevedendo la sua immolazione imminente, risolvettero di tentare il colpo ardito di introdurre fino a lei un prete refrattario. Questa idea venne per primo alla vecchia signorina Fourchè che abitava con sua sorella in faccia alla chiesa di Saint-Merry e si era consacrata al sollievo dei poveri carcerati. Con le due donne abitava pure l’abate Magnin che si era dato, per sfuggire alla polizia, al piccolo commercio degli abiti smessi, e aveva assunto il nome di «signor Charles». La maggiore delle sorelle Fouchè aveva il libero

ingresso nelle carceri; la si riteneva una donna innocua, animata esclusivamente da spirito caritatevole, e poichè nelle sue frequenti peregrinazioni nelle case di pena non dimenticava oltre il soccorso ai detenuti anche le mancie ai carcierieri, si era fatta in quel mondo di dolori, di infamie e di durezze feroci una certa popolarità e si era attirata molte simpatie. Nell’Agosto del 1793 Maria Antonietta era stata trasferita dal Tempio alla Conciergene. La Fouchè ardeva del desiderio di avvicinarla e più volte aveva tentato di scoprirne la cella, ma questa era celata gelosamente. Un giorno ella si presentò al capo carceriere Richard domandandogli senz’altro di vedere la regina; quegli oppose sulle prime un rifiuto, ma poi che si vide tra le mani luccicare un pezzo d’oró cedette alle insistenze della donna e le diede appuntamento per la notte. Benchè fosse venuta, come era l’accordo, accompagnata dal «signor Charles» fu introdotta sola nella camera umida e oscura della regina, la quale, benchè fosse tardi vegliava ancora e accolse l’ospite con visibile diffidenza, non volle toccare i dolci che quella gli offerse e si accontentò di chinare il capo in segno di rassegnazione, allorché la Fouchè, congedandosi, le chiese se le permettesse di ritornare. E ritornò infatti parecchie volte, ma la regina non smise le sue arie diffidenti se non quando la Fouchè le parlò a bassa voce del progetto di farle tenere un prete refrattario. Si convenne che alla prossima visita la Fouchè avrebbe fatto in guisa che con lei venisse introdotto nella cella anche l’abate Magnin. Questi intanto non aveva perduto il suo tempo e assiduo nello accompagnare la Fouchè nelle sue visite alla regina, mentre ella da una parte, era impegnata a concertare il colpo, egli aveva cercato di lavorare l’arrendevole Richard dall’altra. Quando il carceriere si persuase che tali visite a «madama Capeto» non avevano niente di compromettente per lui che nè la pia visitatrice coi suoi, dolciumi nè il paziente suo amico con i suoi abiti frusti, erano gente da concertare una evasione, permise, dietro relativa mancia che i due entrassero dalla regina. Il primo, incontro di Maria Antonietta con l’Abate Magnin ebbe luogo in settembre, secondo le stesse testimonianze della Fouchè e dell’abate. Maria Antonietta non temeva più; sembra anzi che in quel tempo essa concepisse la speranza di una evasione; certo riceveva visite non soltanto dalla Fouchè e dal Magnin, ma da altre pie visitatrici. Fu la troppa arrendevolezza che dopo avergli fruttato un discreto capitaletto fu la causa delle disgrazie di Richard. Venne scoperto che un aristocratico era penetrato nella cella della regina e le aveva rimesso un biglietto nel quale i commissari vollero vedere un tentativo di evasione. Richard perdette il suo posto e la regina fu trasferita in un’altra cella più remota nel cuore della Conciergerie,., vegliata assiduamente dai gendarmi. La disgrazia di Richard desolò,la buona Fouchè. Si rimise però presto dal colpo e tentò di ottenere