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338 IL BUON CUORE


Ma temo che i nove volumi del Guglielmotti siano tuttora assenti dalla biblioteca di ogni nostra nave; per compenso le biblioteche contengono moltissimi esemplari dei romanzi dello sciagurato Salgari. Primo dovere di chi è acceso di amore infinito per an istituto nazionale è depurare l’idioma professionale. La Marina italiana sino al 1889 non ebbe un Vocabolario. Tale non era davvero quello dell’illustre professore universitario Simone Stratico, compilato per ’ordine di Napoleone I e che per puro accidente ho scoperto, sia la traduzione letterale dell’Allgemeine’s Worterbuch der Marine di J. H. Roding. Nemmanco quello, quantunque più- puro, del barone Parrilli. Il Guglielmotti ha dato all’Italia il vocabolario quale deve esere, cioè secondo le origini etimologiche delle parole e secondo i testi classivi ove queste si trovano. Lo ha dato, spoglio di pedanteria, il che non è dir poco. Padre Alberto non arricciava il naso al neologismo quando risultavane giustificata la origine pelasgica. Così, accadutomi dì coniare il vocabolo chelandia per determinare quel barcone che i francesi chiamano chaland e noi dicevamo sciala. no. Guglielmotti adottò il vocabolo nuovo e da me buttato là nella stampa; lo adottò in nome del greco chelonys, ignorando che proprio per cagione di che-, lonys io l’avessi adottato. E’ completo il vocabolario? Oggi non lo è più, perchè fu ultimato nel 1879 e, quantunque l’autore abbia proceduto a continua elaborazione prima di mandarlo alle stampe nel 1889, va stabilito anzitut• to che il materiale navale in pochi anni ha subìto tante mutazioni che nuovi termini si sono aggiunti all’idioma marittimo. L’istesso esemplare custodito gelosamente nel Collegio Angelico e corredato di note ed aggiunte di pugno di Padre Alberto, e che in fondo al volume contiene la nota: a Quindi innanzi questo volume da me riveduto, sarà il mio originale», mal corrisponderebbe alla richiesta d’oggi. Il ministro NUnzio Nasi ventilò di far compilare un dizionario marittimo. Trovandomi in Roma di passaggio, egli mi domandò, presente il suo capo di gabinetto, professor Dante Vaglieri, gl’indicassi qualcuno cui l’incarico potesse affidarsi con sicurezza. Consapevole della complessità dell’opera e che non vi erano disponibili spalle forti e pazienti quanto quelle del mio Maestro, risposi che era indispensabile affidare il lavoro ad una commissione in cui l’ingegneria navale, la meccanica, la navigazione, la balistica esterna e la interna, nonchè l’elettrotecnica, fossero egualmente rappresentate sotto la presidenza di filologo insigne. Gli eventi e Nasi precipitarono. Ignaro se al Ministero i costui propositi trovino continuatori. Ritengo nondimeno necessario l’Italia possieda un dizionario navale cui il vocabolario di Gugliemotti servirà di fondamento ed anche di guida. Alla stampa del Vocabolario contribuirono S. M. il Re Umberto, S. A. R. il Duca di Genova, il Ministero della marina, alleviando così parzialmente il comm. Enrico Vogliera dall’amarezza delle spese vive. Nulla fu dato all’autore, nè per questa nè per le altre opere di lui, fuorchè cinquanta copie a ciò

egli ne facesse omaggio agli amici. Più tardi, non incontrandosi verun editore che assumesse l’impegno di stampare l’Atlante delle Cento Tavole raccolte da Padre Alberto, Monsignor Ciccolini, amicissimo di lui, se ne aprì col Pontefice Leone XIII il quale, apprezzando da molti anni l’opera del Domenicano modesto ed illustre esclamò: «Non solo l’Atlante, ma tutte le opere. Si farà una edizione Leonina». E’ l’ultima. Costò al Vaticano 32.000 lire. Ma prima di chiudere nell’ottantesimo primo anno di età il 31 ottobre del 1893 il corso della vita per insulto apoplettico che lo colpì mentre, chino sullo scrittoio, lavorava, il Padre della nostra Armata aveva condotto a buon punto l’Archeologia Navale, la quale doveva comprendere 22 capitoli, ma si è fermata al XIV e propriamente a quello che si intitola a Remi e Poliere». L’ultima mano a cotesto lavoro Padre Alberto la pose il 4 febbraio del 1892, giorno anniversario del suo ottantesimo. Qui è necessario aggiungere che in. Italia sin qui, sull’archeologia navale non vi è nulla di stampato, almeno in forma completa. Gli studiosi del mare bisogna chiedano il soccorso indispensabile all’a Archeologie Navale» ed al e Glossaire Nautique» di Auguste Jal. A questi ha ricorso Gabriele D’Annunzio quando studiava la Nave. Lascio da banda ornai gli insegnamenti storici, filologici e linguistici di padre Alberto e vo a senitare se di insegnamenti pratici l’Armata d’Italia gli è debitrice. Verifico che ne ha impartiti e che non sono stati ascoltati. La prima edizione della a Storia della Marina Pontificia» (che egli ritirò dal commercio perchè non orane soddisfatto) già conteneva la esposizione dei due principi sulla costruzione, sull’armamento e sulla tattica della nave moderna. Dalla pagina 179 sino alla 184 leggo tutto un inno alla nave autonoma con la conclusione che segue: Deve tornare l’ordinanza dei piroscafi e dei corazzieri per la marcia e per l’attacco simile all’ordinanza delle galee. Di fronte, a globo, a punta, a cuneo, quando la forza, lo sperone, gli armamenti sono soprastantemente sulla testa».

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Ma tre secoli di vela (di vela, così spregiata da Guglielmotti fuorchè sulle navi commerciali) avevano distolto l’Italia dal pensiero giusto, classico e nazionale. La venerabile dottrina mediterranea era ignorata e le si preferiva quella accettata in Oceano. Ed ecco Lissa in cui il nostro avversario si gioiva dell’insegnamento di Guglielmotti! Quando alfine, per Saint-Bon e per Brin, venne iniziata la riforma del naviglio e quello che si era àdorato si bruciò, nel grembo della stessa marina i due iconoclasti-creatori incontrarono opposizione vivissima; quanti uccelli di malaugurio gracchiarono! Guglielmotti, schivo per natura ed anche per,l’abito che rivestiva, dal partecipare a polemiche, m’incuorò a gettarmi a capofitto nella mischia e, insigne onore, fui suo interprete presso numerosi che, ignorando (o quasi) i volumi