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324 IL BUON CUORE


rio. Infatti diroccando il tetto sconnesso e in parte abbattè i muri perimetrali, rovinò il pavimento, disperse i dossali preziosi, devastò le statue e le colonne stesse ai lati del presbiterio e della tribuna. Per di più le macerie si allagarono, finchè non fu sgombro il luogo e rassodata la muratura. Con tutto il resto erano miseramente periti un capolavoro del Tiziano e un dipinto del Giambellino che erano stati provvisoriamente posti nella cappella. Di fronte all’imperversare di una tale forza distruttrice che poteva dirsi nella sua avida cecità addirittura satanica sarebbe stata follia opporre la più lontana pretesa di poter far risorgere la cappella tale quale era. Non molti anni innanzi è vero un altro incendio altrettanto disastroso aveva distrutto quasi interamente una basilica romana, che pur andava meravigliosamente risorgendo nella bianca eleganza della sua multipla schiera di colonne: ma ciò che rendeva preclara la cappella veneta, eran sopratutto le ornamentazioni e i fini dettagli d’arte per i quali scomparsi da secoli gli artefici meravigliosi che li avevan foggiati non vi era speranza di rinascita. Tuttava come per il S. Paolo di Onorio si era detto Risorga! così per la cappella del Rosario passato appena lo sgomento, il terrore, il dolore della prima ora tragica, la voce della fede e della speranza timidamente da prima, poi sempre più alta e più chiara, ripetè la fatidica parola: Risorga! Risorga!

e.. E’ storia recente. Per salvare dalla distruzione totale la cappella fu dapprima raccolto denaro, che servì soltanto a difendere dalla furia delle acque ciò che era stato oltraggiato dalla fiamma, poi a render solenne il voto di una più degna e ampia opera di restaurazione, nel 1871 le società cattoliche di Venezia fecero murare accanto al desolato santuario una lapide consacrante la promessa di riedificare il pristino monumento. Ma il desiderio rimase per niolti anni infecondo, fino a che nel 1897 il cardinale patriarca Giuseppe Sarto, ora esaltato alla cattedra di S. Pietro, mentre si svolgeva in Venezia il Congresso Eucaristico propose, e la proposta divenne unanime deliberazione, di devolvere a beneficio dei restauri della lacrimata cappella i cospicui residui del florido bilancio del Congresso stesso. Qualche anno ancora -- così è detto nella relazione dettata intorno alla storia dei restauri dal segretario del comitato effettivo, prof. Rambaldi — qualche anno ancora e nel 19o8, dopo che Pompeo Molmenti, a suggello del suo bel libro sull’eroe di Lepanto aveva augurato il compimento del lungo sogno dì fede e di arte, Venezia presso «le nere macerie della cappella, costruita in rendimento di grazie per la vittoria» proctirava alle ossa di Sebastiano Venie «, decoro di monumento e rinnovato culto di onore». Senonchè per collocare la statua del Venier fu necessario togliere la lapide del 1871, if che sarebbe apparso come una menomazione del dolce voto fatto per il restauro, se il conte Pellegrini nel discorso inaugurale per il dlscoprimento dell’effigie del gran

Doge rimpiangendo lo scempio della cappella non avesse aggiunto: «Possa almeno aspettarsi quel giorno in cui restaurato quel che è possibile di restauro ci sia dato ammirarvi le poche reliquie tra gli splendori del culto». Ascoltavano queste parole la Regina Madre, il cardinale patriarca Aristide Cavailari, il principe Tommaso di ’Savoia plaudenti con il popolo tutto. L’ardore per ogni forma di bellezza e di decoro civile, la fierezza della divozione in quell’ora di solenni riti, diedero fausti auspici al voto rinnovellato. Anche un pio frate ascoltava umilmente, il frate cui è affidato il monumento insigne, padre Giocondo Pio Lorgna. Egli accolse la.nuova orazione nel fervido cuore come un nuovo ed alto dovere del suo ministero di sacerdote e di religioso della regola di S. Domenico. Ed il semplice frate diede al nuovo proposito la pura fiamma della carità.

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Intanto alla buona causa, specie dopo le accurate indagini tecniche del prof. Naccaro che dimostro possibili certe opere di consolidamento e di restauro, si guadagnavano seguaci di chiara intelligenza e di buona volontà. Sacerdoti ed artisti tecnici provetti e fedeli divoti delle glorie di Venezia, costituirono un comitato effettivo di cui il presidente Pompeo Molmenti, - sotto la protezione di un alto comitato di onore di cui fanno parte il Duca degli Abruzzi, il patriarca di Venezia card. Aristide Cavallari, il prefetto di Venezia Carlo Cataldi, il popolarissimo sindaco conte Filippo Grimani. Pompeo Molmenti gli altri che costituivano e costituiscono tuttora il gruppo numeroso di membri del comitato effettivo, affidarono Io studio dei lavori di restauro a una commissione tecnica: Antonio Dal Zotto, Marco Salvini, direttore della Regia Scuola d’arte applicata; e l’ing. Luigi Marangoni che aveva già dimostrata la sua intuizione di artista, oltrechè l’abilità tecnica nei lavori della chiesa di S. Marco. Il prof. Malagola ed il prof. Naccari offrirono l’amplissimo loro tributo come consultori, per- aver raccolto ricordi storici, e fatto lunghi studi sull’insigne monumento. Primo intento di questa commissione fu di limitare, ma determinare ad un tempo chiaramente il proprio campo di lavoro. Escluso infatti il concetto — così ebbe ad affermare lo stesso Marangoni — di rifare le illustrazioni pittoriche affidandole interamente all’arte contemporanea, escluso quello di ricostruire i dossali, le porte e l’altare sul muro parallelo del transetto, esclusa la ipotesi di una ricostruzione del soffitto, e di tutto insomma che fosse così divorato dal fuoco da non dare più indizio sicuro delle sue forme originarie, si è giustamente circoscritta l’opera restauratrice alla decorazione architettonica dovuta ad Alessandro Vittoria e a Girolamo Campagna; al rifacimento dell’impiantito e della trabeazione.che ricorreva alla sommità delle pareti. Al contrario per quel che riguarda il presbiterio e la tribuna si pensò ad una ricostruzione di tutta quella parte architettonica che il fuoco aveva insi