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IL BUON CUORE 319


natore De Martino, la nostra posizione politica è divenuta solida tra l’Uebi Scebeli e il Giuba. Da poco veramente si è incominciato a fare, e non si è fatto poco nei limiti del bilancio della colonia. Questa fattività non deve subire arresti, deve essere intensificata, se non si vuole vedere stornata la corrente, che proviene dall’interno alla costa dei Somali, per opera dell’Inghilterra, la quale fra non molto avrà allacciato Mombasa con il territorio dei Borau, per mezzo di ferrovia. L’avvenire del Benadir, traverso lo studio di Giuseppe Piazza, è tutto legato alla costruzione delle strade, ferrate in ispecie, ed alla sistemazione degli approdi. Benché più di millecento chilometri di rotabili colleghino i porti ai centri più prosperosi sul Giuba, e sull’Uebi Scebeli, la necessità di sondare l’interno con la ferrovia si rende indispensabile. Le popolazioni, non aspettano di meglio, esse anzi hanno fatto ciò che era fino ad ora insperabile, hanno contribuito per cabila, con opere di braccia, alla apertura delle comunicazioni, hanno accettato cioè di essere in maggior contatto con noi e compreso che esse debbono integrare il nostro programma di civiltà, nel nostro e nel loro interesse. Questo risultato non è trascurabile, ove si pensi che in colonia, e specialmente nei paesi abitati da popolazioni islamizzate, ben duro è il vincere la diffidenza e i pregiudizi. La capacità dimostrata dagli italiani nell’ispirare fiducia negli indigeni risolverà un altro problema, parallelo a quello delle comunicazioni e dei porti, strettamente legato al prosperare del Benadir. Il vastissimo territorio è raramente popolato: le incursioni abissine e la tratta degli schiavi lo hanno in passato reso semidesertico; pochi villaggi hanno potuto sussistere e resistere fra le più varie insidie. Urge ripopolare il Benadir, ed il ripopolamento si può riassumere in tre sistemi, che debbono svolgersi contemporaneamente. Il primo consiste nell’aumento naturale dei Somali e dei Galla abitanti il Benadir, il secondo sta nel determinare una corrente migratoria stabile’ dall’Arabia nel Benadir, il terzo nel fàvorire coloni italiani che volessero recarsi in colonia. Come si vede il piano del ripopolamento, secondo Giuseppe Piazza, non parte dal criterio d iaffidare a una razza la storia avvenire del Benadir. Questa storia noi potremo farla associandoci alla storia già svoltasi sulle coste somàle, storia che segnala un movimento di popoli dall’oriente islamico verso l’Africa sud-orientale. L’Arabo,vi ha resistito traverso i secoli, e la sua lingua è quella ufficiale da Suez a Mombasa e alla Baja di Delaoa per gli scambi e i commerci; e, quando abbiamo voluto risolvere il problema militare nella Somalia, abbiamo dovuto accettare, come unica possibile soluzione, la costituzione dei reparti di truppa con elementi dello Jemen e dell’Adramut. Que sto fenomeno militare è un fenomeno migratorio anch’esso, e può da.fenomeno puramente militare divenire fenomeno demografico. Esso unitamente alla riproduzione somala e galla, con la sovrapposizione

di elementi italiani, darà gente nuova al Benadir, formando cioè una popolazione uniforme, per successive fusioni, in un territorio nel quale uniforme si svolgerà la vita per tutti, vita agricola e commerciale. Destinato ad essere un crogiolo di razze, il Benadir avrà a disposizione per rivelare le sue forze economiche gli elementi più saldi. Riassumendo, il libro di Giuseppe Piazza vuole essere ed è opera di propaganda. La maggior parte dei suoi giudizi sono conformi ai migliori criteri di colonizzazione. Dichiariamo però che le sue conclusioni riguardanti la schiavitù non sono rispondenti alla nostra civiltà ed alla valutazione che noi facciamo dell’essere umano. La schiavitù non può essere trasformata, poichè trasformarla significherebbe riconoscerne l’istituto. Essa è una piaga contro la quale occorre il più ardente cauterio, quello che deve sradicarla. Vagliato al confronto con i volumi che già dobbiamo al Piazza, questo suo Benadir risente la maturità, mentre gli altri ci davano la impressione della preparazione. T. M. VARINI.

Sua Eccellenza la Contessa Amalia Visone nata Rasini di Mortigliengo. Un’eletta figura di gentildonna che scompare, un gran vuoto nella Torino cristiana e benefica, un profondo rimpianto nei cuori! Da Roma, dove nel fasto di Corte raggiò di giovinezza e di grazia, prese dimora qui e vi restò come un simbolo della carità nelle sue più dolci e gentili manifestaiioni. Prediletta da S. M. la Regina Margherita, amata da S. A. la Principessa Clotilde con particolare affetto, ebbe amicizia coi più insigni uomini del suo’ tempo e fu la prudente Egeria, in difficili casi, del Consorte, Ministro della Real Casa. L’Ospedaletto Regina Margherita, le Colonie Africane, le Opere Salesiane, l’Istituto dei Rachitici, l’Oratorio di San Felice, le Figlie povere dei carcerati, gli Asili per i Lattanti, la Società Antischiavista, l’Associazione per le Giovani Operaie e per gli Emigranti, la Protezione della Giovane, ’che l’ebbero Presidente o Patrona, attestano le sue predare benemerenze. Di gentilezza squisita, Ella rispecchiava nel si gnorile sembiante la dignità della vita, la nobiltà dell’anima invaghita del bello, del buono e del vero. Anima impareggiabile non conobbe nè malarcenze, nè invidie e passò come una luce che non si spegne, ma più vivida si riaccende nel cielo. Torino.

C.ssa ROSA DI SAN MARCO.