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IL BUON CUORE 163


fare, supplente di Fauriel, ormai vecchio e stanco, trattando della letteratura tedesca e specialmente dei Niebelungen e della lirica di Minnesinger dopo essersi preparato con un viaggio sulle rive del Reno, raccogliendo così i materiali per una delle sue opere principali, I Germani prima del Cristianesimo, pubblicata solo nel 1847, la quale è la seconda di polso da lui data alla luce — la prima, Dante e la filosofia cattolica, era comparsa nel 1839. ha vocazione.

lava e si restaurava la repubblica, si trovava disposto a conSiderare con fiducia e con simpatia, i nuovi avvenimenti: manifestò le sue idee politiche nel programma agli elettori di Rhòne quando si presentò candidato alla Costituente, e in un discorso al Circolo cattolico sopra i pericoli e le speranze di Roma, discorso che fece impressione perchè con esso si poneva direttamente contro le idee dei maggiori giornali cattolici e si rivelava apertamente convinto della possibilità di una democrazia cattolica. hacordaire e Illaret.

Durante questi avvenimenti la sua vocazione si era decisa, e dopo i primi sei mesi d’insegnamento si univa in matrimonio con Amelia Soulacroix (ne ebbe una figlia.) che gli fu degna Compagna, gli sopravisse, e divenne l’editrice solerte e coscienziosa delle sue opere. Ma l’intenso e febbrile lavoro della gioventù gli aveva logorata la salute. Per ristorarla e per accrescere insieme il materiale delle sue ricerche, egli che col padre, colla madre e coi fratelli aveva già nel 1833 fatto un viaggio in Italia, fino a Roma, con un mese di soggiorno a Firenze, nel 1841, volle spingersi fino in Sicilia, completando così l’esame di questa terra nostra, che fu davvero per lui una seconda,patria, e che colla dolcezza del suo clima, colla grandezza delle sue memorie parlava al suo cuore ed alla sua fantasia un linguaggio affascinante, quale non è dato comprendere a tanti’ di noi italiani. Così nel suo corso del 1842-1843 cominciò a trattare della storia letteraria dell’Italia dopo Carlo Magno, il piano di questa parte importante del suo, insegnamento espose l’anno stesso’ in un articolo comparso sul Correspondant e intitolato la tradizione letteraria in Italia, studio quasi contemporaneo al saggio sul buddismo che,scrisse per gli Annales de la propagation de la foi. Ozanam intanto partecipava all’azione, prendeva parte alla vita pubblica nelle forme e coi metodi che il suo carattere gli suggerivano migliori: faceva conferenze al Circolo. cattolico di Parigi, e nel 1844 prendeva parte alla campagna in favore della libertà d’insegnamento contro il monopolio dell’università ufficiale, alla quale pure apparteneva. L’infaticabile assiduità al lavoro andava però sempre più logorando le sue forze, e poco mancò non gli anticipasse di alcuni anni la morte nel 1846, quando una febbre perniciosa lo ridusse in tale stato che i medici dovettero imporgli un anno di riposo: Ozanam deliberò di impiegarlo con un nuovo viaggio in Italia. Rivide così Firenze, rivide Roma, e nelle biblioteche, nelle catacombe, nelle basiliche, nella contemplazione della natura umbra attinse l’ispirazione e i materiali per una delle sue opere più belle: T poeti francescani nel secolo XIII: mentre nel turbine di idee e di sentimenti che s’agitavano allora intorno al nome di Pio IX appena eletto, egli si venne confermando nelle simpatie che già lo legavano alla causa cattolica: onde quando pochi mesi dopo il suo ritorno in Francia il trono di Luigi Filippo crol Erano con lui Lacordaire e l’abate Maret, o meglio egli era con loro, perchè è giusto non assegnargli íl primo posto dove non gli spetta; onde accettò di far parte della redazione di un gionale L’ère nouvelle, che colla piena approvazione di mons. Affre, arcivescovo di Parigi, cominciò a pubblicarsi nel 1848 ed ebbe un successo grandissimo ma momentaneo, perchè visse cinque mesi, aspramente combattuto da Luigi Veuillot e. dall’Univers. Nel 1848 gli avvenimenti lo chiamarono alle armi: a Parigi erano sorte le barricate; ed Ozanam che il 25 giugno faceva il suo servizio come guardia nar zionale, ebbe l’idea di indurre l’arcivescovo di Parigi, mons. Affre, a interporsi nella lotta sanguinosa, pensando che sarebbe stato un trionfo importante per la Chiesa, se egli fosse riuscito a por fine alla guerra civile. Mons. Affre non disse di no alla proposta di Ozanam; accompagnato da lui e da due suoi colleghi, in abito prelatino, colla croce pastorale sul petto, uscì dal suo palazzo, acclamato per recarsi all’assemblea nazionale a domandare il permesso del generale Cavaignac che glielo concesse e lo incaricò di un messaggio di pace agli insorti; poi confessatosi, seguito dal suo vicario generale e preceduto da un cittadino che recava una banderuola bianca, salì sulla prima barricata mostrando il proclama; ma un colpo di fucile partì da una finestra, e il prelato colpito a morte cadde gridando: a che il sangue mio sia l’ultimo versato!». Questo avvenimento deve aver lasciato una impressione profonda nell’animo di Ozanam e associato ai molti altri dolorosi avvenimenti di quel tempo contribuì non poco a scuotere la sua fibra già fragile e logora. Benché attendesse continuamente alla stampa delle sue opere, alle conferenze di S. Vincenzo, alle riunioni del Circolo cattolico, la sua salute precipitava inesorabilmente, e gli amici indovinavano con dolore che pochi anni gli rimanevano. Quasi tutto ciò non bastasse, un dolore intimo e profondo veniva a colpirlo: i suoi scritti e i suoi discorsi, improntati a spirito di carità e di tolleranza, gli, avevano creata intorno una atmosfera di sospetti, che addensandosi sempre più, giunse a concretarsi in una accusa di eterodossia; tantochè suo fratello l’abate Carlo Ozanam, nella vita che ne scrisse, narra che nel 1858 il card. Sacconi, allora nunzio a Parigi, gli domandava: a voi che siete teologo, ditemi