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IL BUON CUORE 343


in nome della dotta Accademia veronese e nel raccoglimento che ispira il bel salone della Gran Guardia vecchia, è certo Giorgio Bolognini, letterato di merito assai maggiore della sua fama, il quale produce così poco e così bene che ogni segno della sua attività letteraria è un avvenimento. E per questo mi avvenne poche volte di veder un biografo ascoltato con tanta attenzione.

Più di rado ancora mi fu dato d’imbattermi in un accademico capace di far dimenticare questa sua qualità: un pagenerista che riuscisse a salvare il commemorato da quel rancore che ognuno prova per ciò che, pure involontariamente, è causa di noia.

Giorgio Bolognini, con quella genialità che avrebbe dovuto chiudergli le porte d’ogni Accademia, ha saputo, meglio che dipingere con arte di miniatore, dare rilievo alla figura del Patuzzi mediante un’ampia prospettiva dei tempi in cui questi visse, e il contorno di persone e di cose che alla sua vita si collegarono e alle quali il momento conferì una importanza caratteristica e storica superiore forse al loro intimo pregio.

Così il Bolognini riuscì a tratteggiare con felici tocchi le condizioni dell’arte italiana in quel periodo di fecondissima vitalità che ebbe il suo culmine dopo il ’70, quando a Milano ferveva l’opera di rinnovamento preparatrice delle presenti vittorie nazionali.

Era tempo in cui gli accenti disperati d’Iginio Ugo Tarchetti — ha rammentato il biografo del Patuzzi — s’accordavano le nuove lire d’Arrigo Boito, di Giovanni Camerana e di Emilio Praga, Alessandro Manzoni, vecchio glorioso, taceva tra la reverenza del mondo; Cesare Cantù alternava con romanzi storici la compilazione della sua opera monumentale e Giuseppe Rovani stuzzicava la curiosità ricamando attorno alla storia vera gli intrighi segreti e gli anneddoti lumeggiati dalla sua inesauribile fantasia.

Giulio Carcano, dopo i sospiri e le lagrime della sua Angiola Maria, s’era dedicato alla traduzione di Shakespeare, e Bernardino Zendrini vestiva di forme italiane gll amori inquieti e la caustica ironia di Enrico Heine.

Mentre Carlo Morenco, Giuseppe Giacosa, Felice Cavallotti e Paolo Ferrari tentavano di sottrarre il teatro al vassallaggio francese, Salvatore Farina destava il gusto per semplici e sereni romanzi d’aura famigliare, e Giovanni Verga cominciava a scandalizzare i puristi con uno stile che si poteva paragonare alle pennellate di Tranquillo Cremona.

Il Camerini tracciava con mano maestra i suoi «Profili Letterarii», Tullo Massarani pubblicava saggi pieni di genialità e di vedute nuove, e un forte gruppo di giornalisti battagliava e cercava le vie nuove della politica e dell’arte nel Gazzettino Rosa, nel Museo di Famiglia, nella Gazzetta di Milano, nel Pungolo, e, poco dopo, nel Corriere della Sera. Due editori si disputavano i migliori ingegni: Soli zogno e Treves. Ed anche la pittura cercava nuovi orizzonti col Bertini, con Mosè Bianchi, con Tranquillo Cremona, i quali combattevano
contro il romanticismo dell’Hayez, mentre la musica aspettava che Antonio Ghislanzoni consegnasse al Verdi il libretto dell’Aida. Tra questi uomini, in mezzo a tanta febbre di lavoro e a sì varia novità d’intenti era capitato Gaetano Lionello Patuzzi nel 1860.

Egli era nato nel 1842 a Bardolino sul Garda, dove suo padre Benedetto, oriundo trentino, s’era trasferito per esercitarvi la professione di medico distrettuale: e la sua natura risentiva di quel carattere assennato e pacato ch’è comune alla gente dei suoi paesi e per cui pure la giovinezza fugge istintivamente i pericoli e i compromessi. Ma egli era giovine d’ingegno e garbato quanto contegnoso. Portava seco quell’aristocrazia di sentire e quella nobiltà di pensare che quando sono accompagnate dalla franchezza non stentano ad avvincere chicchessia. Ne il cenacolo scapigliato dei bohémiens milanesi gli lesinò amicizia e confidenza.

E appunto perchè la sua indole rifuggiva da ogni eccesso, da ogni atteggiamento scomposto, e amava foggiarsi in un mondo intermedio fra lo spasimo e la freddezza — un mondo fatto di sentimentale e comica realtà e di blanda ironia, egli trovò particolarmente nella prosa narrativa il campo più adatto per la sua attività di scrittore venuto su dalla poesia.

Così nacquero le cinque novelle Un viaggio di scoperta, Due forze, Cuor forte rompe cattiva sorte, Fiori di Tomba e Fila arcane, che furono poi raccolte in volume sotto il titolo comune di Virtù d’amore; così da una profonda concezione di fiacchezza e di vanità provinciale balzarono il Volo d’Icaro e gli Sfoghi del signor Scannavini; così vennero quei graziosi Perchè...., dei quali il Sommaruga rinnovò più e più volte l’edizione.

Un viaggio di scoperta è un idillio fresco e fragrante che si potrebbe dire fratello dei primi di Anton Giulio Barrili, come L’olmo e l’edera, come Val d’olivi, cosparso di maggior sale e prospettato sopra uno sfondo di vita veronese ricco di memorie patrie, che vanno dalle sanguinose Pasque all’eccidio di Carlotta Aschieri.

Due forze scaturiscono dalle anime di due donne tormentate dall’amore infelice per un uomo egoista e calcolatore; ispirate ad affetti più semplici e tranquilli sono: Cuor forte rompe cattiva sorte, Fiori di tomba, Fila arcane ed altri racconti minori, che pongono il destino umano fuori del campo preciso e positivo della ragione.

Più tardi pubblicò un bel romanzo storico intitolato Diana Leonard, che contiene pagine davvero forti e, vibranti ed ebbe le lodi dei maggtori critici italiani e stranieri.

(Continua).

Pirro Besso

Per l’Asilo Convitto Luigi Vitali pei bambini ciechi

OBLAZIONI.

Signore C. C, Ferranti Pasta, per un fiore sulla tomba dell’eletto e caro amico Generale Antonio Mangiagalli|||
L. 30 —


La NONNA è un capolavoro di una freschezza e di una originalità assoluta.