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IL BUON CUORE 31


Primamente è luce. Raggio divino che scende dal suo centro luminoso; Dio istesso che svela — attraverso prodigi inenarrabili — i suoi grandi misteri, le sue verità. E quel raggio di fede, — che da Dio parte, di lui parla, per lui s’agita — toccando cose pur di differente natura scopre, manifesta, illumina e svela cento altri rapporti ignoti alla scienza dell’uomo, o saputi in modo incerto. Come il raggio del sole, la fede crea a sua volta quanto tocca centro luminoso, d’onde si irradia una seconda vita, la vita civile, la vita sociale, i grandi concetti di fratellanza umana.

Ma la fede non fu un raggio freddo: si sprigiona da quel centro d’amore che è Dio, carità, amore essenziale... si sprigiona per vita propria abbondante, sovrabbondante bisognoso d’amore così da dare per amor degli uomini il suo Unigenito, creazione d’amore intimo, eterno.

E’ la luce d’amore è caldo, è vita. Son due termini antitetici, amore e morte. Dove passa l’amore freme la vita, la crea, l’aumenta, le dà un impulso più forte, potente.

Così la calda luce della fede in mezzo agli uomini; eravi odio... vi sparse l’amore, radunò i disorientati, strinse in una famiglia gli uomini dispersi, tolse l’egoismo, creò la fratellanza, distrusse il peccato, il vizio suscitando il bene, innondando la terra intera dei più bei fiori. di virtù: dove aveva trionfato — sotto le tenebre — l’orrore del vizio, al contatto della luce — effetto della fede e della verità cristiana — regnò, bella graziosa dominatrice la virtù dei figli della luce e del vero.

Noi coi nostri preconcetti guastiamo l’opera della fede. D’essa ci curiamo assai poco quando facciamo un’opera buona. Così ci può soddisfare il buon cuore, tiene le veci della carità un sentimentalismo morboso vuoto, e surroghiamo l’amor di Dio e del prossimo col facile piegarsi e dolersi al dolore dei miseri. Sono opere che non vivono.., non sono utili. Cristo le classifica come «opera mala» non perchè trovi in esse opere di che condannare: lamenta lo spreco inutile di buone energie. Manca la luce, manca il calore, manca la vita!

L’opera umanamente buona riscuoterà il plauso degli uomini; l’opera umanamente buona al contatto di Cristo, sotto la luce della fede, al calore della carità cristiana avrà il plauso sincero, eterno di Dio. Sarà opera perfetta, buona, eterna.

B. R.

Elisa Dell’Acqua Marzorati

Compiamo il grato dovere, sebbene in ritardo, di ricordare la signora Elisa Dell’Acqua Marzorati, morta in principio dell’attuale mese di gennaio 1912.

Essa, insieme al suo marito cav. dott. Felice Dell’Acqua, deve considerarsi come grande benefattrice dell’Istituto dei Ciechi di Milano.

Abitava nella casa n. 8, in via Cernaia, della quale,
dopo sei mesi dalla sua morte, entrerà in libero possesso l’Istituto dei Ciechi.

Or sono ventisei anni il dott. Felice Dell’Acqua otteneva dall’Istituto dei Ciechi l’area su cui sorge la casa, facendo una generosa oblazione, e l’area restava di proprietà dell’Istituto, e quindi anche la casa del Dottore eretta poi a sue spese sull’area stessa.

I coniugi Dell’Acqua vivevano in piena comunanza di intendimenti e di affetti, ed è giustamente a supporsi che la generosa disposizione del marito sia stata, se non ispirata, pienamente condivisa dalla moglie.

Ai solenni funerali, celebrati il 5 corr. nella chiesa prepositurale di S. Marco, con numeroso concorso di parenti, conoscenti, amici e rappresentanze di opere pie, intervenne, col consigliere dell’Istituto ing. Carlo Radice Fossati e col Rettore, una schiera di allievi e di allieve dell’Istituto dei Ciechi.

Al cimitero, la maestra cieca Venturelli Carolina, interprete dei sentimenti dell’Istituto beneficato, lesse le seguenti parole:


«Chi si commuove pietosamente agli altrui dolori, ha certamente un’anima sensibile e gentile; ma chi avendone i mezzi, la pietà del sentimento, la commozione del cuore traduce in azione, aiutando e beneficando chi soffre, oh questi è generoso, è caritatevole, è buono!

«E caritatevole, generosa e buona fu per noi ciechi la signora Dell’Acqua, la di cui venerata salma ci sta ora dinanzi, ed alla quale sentiamo il bisogno di porgere un saluto dettato dalla riconoscenza, e dall’affetto.

«Il dott. Dell’Acqua, marito alla cara signora che qui si piange, fu, per parecchi anni, medico consulente al nostro Istituto; ed alle sue visite come dottore, vi univa sempre l’affettuosa, l’affabile parola che rivelava la bontà del suo cuore, la benevolenza dell’animo suo per noi; e ciò sarebbe bastato per lasciarci di lui un dolce ricordo, ma anche alla sua morte volle generosamente favorirci lasciandoci eredi d’una vistosa sostanza.

«E colei, che ora non è più, ma che per lunghi anni gli fu sposa affettuosa e buona, che con lui ha diviso le gioie e i dolori, ha pur fatto suoi i sentimenti pietosi e benefici dell’ottimo suo consorte a nostro riguardo. Anzi, chi non sa che questi stessi sentimenti non glieli abbia ispirati essa colla sua bontà, col suo affetto, colle fine delicatezze, tutte proprie alle spose modello, come lo fu l’egregia signora Dell’Acqua? Cara buona signora, lascia dunque che con venerazione gratitudine, noi ti chiamiamo nostra benefattrice; lascia che tutti i ciechi del nostro provvido Istituto ti porgano per mezzo mio, l’estremo saluto, quale prova sincera di grande, incancellabile riconoscenza. Il tuo nome ci sarà sacro quanto quello del tuo amato consorte; ricordando i preziosi suoi benefici, ricorderemo i tuoi; la preghiera che innalzeremo al buon Dio per te e per lui, sarà fervida e costante perchè riverente costante sarà la memoria che serberemo di voi coniugi Dell’Acqua, di voi che con venerazione ed affetto annoveriamo fra i più cari ed insigni nostri benefattori».