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4 IL BUON CUORE


punti possa apparire tendenzioso, è forse quello che meglio ci può dare una idea della vita, dei costumi, del suolo, all’interno della Tripolitania.

Non ostante però la infrangibilità del veto turco, un’opera indiretta di penetrazione europea, si compieva egualmente, sotto gli occhi di tutti i valy e di tutti i mutessariffs, impotenti a reprimerla. E strumenti di questa penetrazione erano le stesse popolazioni nomadi — beduini, berberi, arabi — che spinte per poco alle città della costa, tornavano alla loro steppa, al gebel, e oltre, raccontando ed esaltando nel loro linguaggio immaginoso, i miracoli che gli europei sapevano compiere. A detta di tutti gli esploratori, la scienza che sopra le popolazioni barbare o selvaggie fa maggior impressione, è la medicina. Per esse, il saper guarire una piaga che marciva da anni, è virtù così grande, da sembrare prerogativa della sola divinità. E i nomadi che dal Fezzan, dalla Mauritania, dai gebel, attraverso l’altipiano cirenaico o la pianura tripolitana, avevano, a Tripoli, ad Homs, a Bengasi, a Derna, ricorso alle cure meravigliose delle buone tabibe, ne spargevano fino al deserto la fama.

Le tabibe, erano le suore medichesse delle missioni cattoliche italiane. Ai missionari italiani, ed alla Associazione Nazionale che li soccorre, risale il merito primo di aver fatto, colla loro propaganda di fede e di umanità, una propaganda attiva di italianità in quelle regioni che ora tornano nostre. Essi combatterono la loro guerra contro la superstizione, oltre che colla Croce e col sangue, colla bella bandiera italiana, spiegata.

Da oltre due secoli, i Francescani italiani avevano le loro missioni in Tripolitania e in Cirenaica (ne fu primo prefetto un Francescano piemontese). Esse però, nel secolo scorso, erano passate, per varie vicende, sotto la immediata dipendenza del Governo francese, il quale aveva preso particolare interesse per quelle Missioni, specialmente dopo la occupazione di Tunisi.

Nel 1886 intanto, si fondava in Italia l’Associazione Nazionale di soccorso ai Missionari Italiani, che ebbe forte impulso particolarmente a Milano. Di essa si costituirono Comitati e succursali in tutte le regioni d’Italia. Il Comitato milanese fu presieduto, nei primi quattro anni, dal generale senatore Genova di Revel. Anima dell’Associazione fu sempre l’illustre egittologo professore Ernesto Schiaparelli, ed ora la presidenza generale è affidata a un noto gentiluomo milanese, il nob. Carlo Bassi.

Il programma di questa istituzione, è tutto sintetizzato nel primo articolo del suo statuto: «E’ costituita in Italia una Associazione Nazionale autonoma, avente sede in Firenze, per soccorrere i Missionari cattolici italiani, e promuovere, sotto la loro direzione o vigilanza, la fondazione di nuove scuole e la diffusione della lingua italiana, specialmente in Oriente e nell’Africa, e mantener vivo, insieme colla Fede, l’amore per la Patria, nei numerosi italiani che si trovano in lontane regioni». E che a questo programma si sia ispirata veramente l’opera della Associazione, provano i fatti.

Essa si preoccupò fin dal principio di quelle terre che, bagnate dal Mare nostrum, di fronte alla Sicilia,
dall’Italia più che da qualsiasi altra nazione, attendevano i benefici della civiltà. Soltanto però nel 1898 potè rompersi il cerchio di ferro entro il quale il Governo francese teneva chiusa tutta l’opera di quelle Missioni. Ne era prefetto allora il Padre Giuseppe Bevilacqua da Barrafranca di Sicilia, uomo di alto sentire italiano. Da quell’anno, l’Associazione Nazionale, si sostituì man mano al governo francese, e mentre progressivamente liberava le Missioni da quello stato di asservimento, le metteva, nel 1905, sotto la protezione del governo italiano, e promoveva in esse una trasformazione tale, per cui tutti i suoi istituti vennero prendendo carattere apertamente, schiettamente italiano.

Padre Giuseppe da Barrafranca, e il suo successore Padre Bonaventura Rossetti, attuale prefetto della Tripolitania e Cirenaica, aiutarono validamente l’Associazione in questa opera patriottica. La Missione Francescana ha ora due grandi istituti scolastici a Tripoli, uno maschile ed uno femminile, e, pure a Tripoli, un piccolo ospedale con dispensario. Una scuola maschile e femminile, e un dispensario, a Bengasi, e una scuola maschile a Derna. Le scuole femminili sono tenute, per conto della Missione, da suore Giuseppine, e quelle maschili dagli stessi Francescani. Complessivamente quelle scuole contano ora più di 800 alunni ed alunne di ogni nazionalità e religione, fra i quali molti israeliti e parecchi turchi. I dispensari della Missione attesero, l’anno scorso, a più di 20.000 medicazioni. Come si vede, si tratta di istituti molto importanti, che erano venuti acquistando nel paese molta influenza, attirando sulle Missioni italiane e quindi sull’Italia molte simpatie. Specialmente perchè, alieni da qualsiasi intolleranza religiosa, i nostri missionari erano tenuti in conto di benefattori e di amici. Forse a questo si deve se quei religiosi sfuggirono al massacro.

L’Associazione Nazionale fondò, inoltre, coadiuvata dai Francescani e dal compianto console Scaniglia, istituti propri, a Tripoli, Homs, Bengasi e Derna, Orfanotrofi, scuole elementari, ambulatori, farmacie, colonie agricole. Derna, la città più bella della Cirenaica, fu anche la più difficile da conquistare. In essa, più che nelle altre, è vivo il fanatismo mussulmano, e la città è reputata città santa. Vi si riuscì ad ogni modo, ed ora, una delle costruzioni più belle è quella della Associazione Nazionale. Di essa le Missionarie Francescane fecero un focolare d’italianità, attendendo anche, negli ultimi mesi, ad oltre 26.000 medicazioni. Fu così che la fama della bontà e della carità italiana, si sparse tra gli arabi dell’interno.

Notizie interessanti, sono in una lettera della superiora delle Francescane di Homs. È del 1908; «La scorsa estate, venne aperto in paese, per cura del Governo ottomano, un ospedale: con tutto cìò, numerosissimi sono gli ammalati di ogni religione, sesso, ed età che giornalmente si presentano per essere curati da noi. L’arabo è gratissimo a chi gli fa del bene, e incontrandoci per via, lo si vede spesso prostrarsi a terra, in atto di preghiera, e colle mani giunte implorare sopra di noi le più elette benedizioni del Cielo, mentre narra ai passanti e ad alta voce, il benefizio