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IL BUON CUORE 259


Tomaso d’Aquino aveva una seduzione di parola alla quale difficilmente resisteva anche il cuore più indurito; per non cedere sarebbe stato necessario non aspettare la sua voce armoniosa; sarebbe stato necessario chiudere gli occhi; sarebbe stato necessario non trovarsi sotto la magia dei nobilissimi tratti, sotto il fascino dei suo sguardi ad un tempo mesti e dolci. Mai si fece del bene con minor rumore. Egli circondava di tutto il mistero possibile le sue buone azioni; egualmente egli non era designato a Parigi che col nome di dottor angelico o di angelo della scuola; altresì, quando una madre l’incontrava, lo pregava ginocchioni a benedirle il figlio perchè fosse protetto contro i mali del corpo e dell’anima. Maravigliato di tutte le buone azioni di Tomaso d’Aquino, il popolo non poteva supporre che tante virtù appartenessero a semplice mortale, e si parlava di molti miracoli avvenuti per sua intercessione.

Tomaso d’Aquino era stato condotto alla vita monastica da una irresistibile vocazione, contro la quale nulla avevano potuto gli sforzi della famiglia. Figlio del conte Landolfo signore di Loreto; nipote dell’imperatore Federico I e parente di Luigi IX re di Francia, discendeva per parte di madre dal famoso Tancredi d’Altavilla, conquistatore delle Due Sicilie nel secolo undecimo. Destinato alla carriera delle armi, furtivamente abbandonò la famiglia e andò a prendere l’abito di novizio presso i Domenicani di Napoli.

Dopo che sua madre ebbe a conoscere questa risoluzione, accorse al convento a supplicare il figlio perchè rinunciasse ad un progetto che lasciava senza eredi il nome illustre che portava. Tomaso oppose una rispettosa resistenza alle istanze della madre e non cedè di più ad una lunga reclusione fattagli subire nel castello di Rocca Secca del padre suo. Bisognò arrendersi ad una volontà così ferma, e Tomaso potè finalmente seguire la vocazione che l’attirava.

Il superiore dei Domenicani di Napoli non tardò a notare l’alta intelligenza del novello monaco, e l’inviò a continuare gli studi teologici a Colonia presso Alberto Magno pur egli religioso domenicano. Tomaso seguì bentosto il suo Maestro a Parigi. Là conobbe S. Bonaventura; là questi due uomini così capaci di comprendersi, si strinsero in una amicizia tenera, durata fino alla morte.

(Continua).

(Trad. di L. Meregalli).



ECHI E LETTURE


Attenti alle erbe, alle erbe crude sopratutto In tempi di disturbi intestinali le erbe e le frutta — se non sono cotte — tirano dei brutti tiri. Tuttavia i vegetariani non si scoraggiano affatto. Se non sarà cruda, sarà cotta; ma, data la cottura — ripetono nel Pearson’s Magazine — resta sempre il problema dell’alimentazione e i due problemi che riguardano la nutrizione della razza umana: l’uno fisiologico, l'altro psicologico ed estetico. Nell’idea di mangiare un cadavere v’è senza dubbio qualcosa che urta l’uomo o la donna di sentimento ar-
tistico, e che al contrario attrae la iena o la tigre. Il grado già avanzato di evoluzione dell’uomo tende a eliminare da lui completamente la sanguinaria avidità delle bestie feroci. L’uomo di nobili aspirazioni preferisce un’alimentazione semplice, incruenta, a base dei prodotti del suolo. L’avvenire è del vegetariano, e l’usanza di mangiare carne verrà sempre più limitandosi alle classi inferiori e mentalmente poco evolute della razza umana. Ma può l’alimentazione vegetariana bastare all’uomo, senza che questi abbia a risentirne un danno nel suo organismo? Così in Oriente come in Occidente, così fra gli odierni Giapponesi, Tartari, Finlandesi, Scozzesi, come fra gli atletici gladiatori del Colosseo o fra i veterani di Cesare, troviamo un unico ammaestramento: che la vigoria e la tenace resistenza d’una razza sì manifestano principalmente negli abitanti delle campagne, nei lavoratori del suolo presso cui l’alimentazione è quasi esclusivamente vegetariana. L’ospedale vegetariano di Lady Margaret a Bromley, nella contea di Kent, è una valida prova dell’utilità di quest’alimentazione in tutti i casi di malattie mediche, chirurgiche, ginecologiche....

Tutti sanno a Potsdam che l’Imperatrice alle 7, d’estate o d’inverno, è sempre alzata. Alle 8 fa colazione e — notate — sempre con l’Imperatore. Non vi è etichetta che tenga, quell’etichetta che si risolve nell’aristocrazia e nelle reggie, in un divorzio. Dicono che non abbia mai letto un solo romanzo perchè non ne ha il tempo. Ma in compenso ha badato ai suoi figli e letto i loro sillabari quando erano piccini; dirige la casa, ricama le bandiere per i suoi reggimenti, attende alle numerose guardarobe del marito, che è fra tutti i Sovrani il più provvisto d’uniformi, e dedica un’ora del giorno al piano. Non ha come il marito, la passione per il teatro, per le solenni corvées, per il lusso, per i viaggi. Della sua vita semplice, mite, religiosa, tiene un giornale le cui pagine nessuno, nemmeno il marito, ha mai letto e che formano un grosso a album n dalla cui piccola chiave d’oro non si separa mai. È notorio che il gentile ninnolo che chiude le sue arcane impressioni, i gentili misteri della sposa, della madre, dell’imperatrice, viene da lei portato costantemente, ovunque, appeso al vestito con una catenella. Lascerà una piccola chiave ai figli: potranno dischiudere con essa un tesoro di ammaestramenti. Dopo le otto — secondo il Tit-Bits — l’Imperatrice governa. Cioè governa la casa. Sotto la sua direzione il personale manovra con precisione militare. Il maggiordomo, chiamato a rapporto, presenta i «menus» dei pasti.... che l’Imperatrice invariabilmente modifica e semplifica, escludendo tutti i piatti che hanno un sapore francese, come esclude dai pranzi rallegrati dall’orchestra tutti quei pezzi di musica che hanno sapore italiano. È una veneratrice di Wagner! Salendo al trono portò anche un’altra prescrizione caratteristica e... salubre: stabilì la durata dei pranzi in un’ora, non un minuto di più. E instaurò anche un programma finanziario! Guglielmo non è economico e non lo è mai stato: ebbene, le sue larghezze sono riparate dalla contabilità della consorte, che rive-