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246 IL BUON CUORE


paravano le catene di ferro colle quali sbarravano le strade durante ogni notte.

D’un tratto questo religioso, quasi a respingere un pensiero indegno, fece il segno di croce ed esclamò: Deus in adiutorium meum intende. Quindi aggiunse ancor tutto agitato: Fiat voluntas tua! Egli è che una tenera amicizia lo legava al P. Bonaventura; e malgrado l’abnegazione completa d’ogni terreno affetto che il Cattolicismo esige da un Monaco; malgrado l’assoluta rassegnazione alla volontà di Dio che impone rotai religione, non poteva pensare senza dolere alla venuta d’un giorno in cui non vedrebbe più in questo mondo il compagno della sua gioventù, il fratello tenero col quale aveva camminato passo passo fino a quel giorno attraverso ai dolori ed alle prove della vita! Quind’innanzi con chi scambierebbe ancora i suoi pensieri? combatterebbe contro i suoi dubbi? preparerebbe i suoi lavori?... Eccolo solo in terra a continuare il penoso viaggio del mondo. Quando si è in due per strada, ci si sorregge reciprocamente; si aiuta a vicenda; si alleggeriscono le noie del cammino; si ingannano gli svigorimenti delle fatiche con scambievoli premure, con parole di compassione e di incoraggiamento... Ma procedere solo! Silenzioso! Guardare attorno e sè e non vedere che una spaventosa solitudine! Parlare e non sentir nessuno rispondere; avvertire il battito del proprio cuore di sgomento e non esserci persona nessuna a dire: «Fratello, buon coraggio!» Ah, questo è orribile, orribile!

«Egoista e meschino che son io! — rispose — Il mio fratello arriva al termine del suo viaggio ed io piango! Egli va a riposare per tutta l’eternità ed io piango! Per lui non c’è più fatica, nè strada, nè terrori, ed io non me ne rallegro! Ed intanto io avrò un intercessore in cielo che pregherà Iddio di abbreviare il mio viaggio; un amico che piegherà verso terra il suo capo cinto dell’aureola celeste per proteggermi ed insegnarmi la buona strada!... ah! ch’io sono un cristiano ben debole e vile davvero!»

Ma egli aveva un bell’armarsi di risoluzioni; egli aveva un bell’appellarsi per aiuto ai ragionamenti della fede; le lacrime non cessavano meno dallo scorrere dagli occhi e scendere ad irrorare le gote dimagrite più per le macerazioni che per l’età.

In realtà, a guardare attentamente la sua testa pressochè calva, e nella parte posteriore soltanto ornata di capegli misti a fili d’argento, si avrebbe facilmente riconosciuto che il padre domenicano non contava più di trentasei anni. Ciò che lo faceva sembrar vecchio era una indefinibile stanchezza diffusa in tutta la persona solcandogli la fronte di larghe pieghe. Ma se rialzava la testa abitualmente chinata, se il nero suo occhio distratto e fisso a terra si rianimava d’un sol colpo, allora quel corpo invecchiato e rimpicciolito si rianimava d’una novella giovinezza. Ma cotali lampi erano rari e di breve durata, come quelli che d’improvviso illuminano le nubi d’un cielo in tempesta; era la fiaccola che d’un colpo imporpora dei suoi bagliori le volte di un sotterraneo per ripiombarlo subito dopo in una cieca oscurità.

All’angolo della via di Glatigny una folla enorme di popolani sbarrava la strada al domenicano. Quella folla circondava un uomo che dibattevasi a terra tra le convulsioni dell’ubriachezza, e di cui i libertini si ridevano senza pietà, perchè i suoi abiti annunciavano un uomo d’una classe meno abbietta di quella che s’abbandona di solito a quel vizio. Godevano molto adunque nel vedere avvoltolarsi così nel fango delle loro strade uno di coloro dei quali non potevano osservare lo stato senza invidia, la fortuna e la superiorità di educazione e sociale.

— Oh! il brutto ubriaco — dicea uno di quei mendicanti che attiransi la pietà delle anime caritatevoli con lamenti simulati — il brutto ubriaco; avrebbe speso assai meglio il suo danaro soccorrendo i poveri anzichè impiegarlo a rovinare così la sanità del corpo.

— Sì, sì, — aggiunse una donnaccia il cui naso rubicondo tradiva la sua passione per il vino — sì, questa gente possiede il superfluo che sciupano, e noi altri poveracci ne moriam di fame....

— Ma non di sete, comare — interruppe uno studente che con brusco urto fece cadere di mano alla vecchia un recipiente di vino che nascondeva col grembiale.

— Ah vero figlio di Satanasso! — gridò lei avventandosi contro il monello che prese a fuggire, ma per tornare ben tosto a vilipendere la sua nemica ed incitarla ad una lotta in cui le sue gambe avevano tutto il vantaggio. Acciecata per la collera la vecchia non smise per questo di tentare di colpire il ragazzo che si lasciava accostare, e sfuggiva come un uccello, al momento istesso in cui le mani scarne e tremanti della inferocita creatura sembrava l’afferrassero.

Questo secondo fattaccio facea torto al primo; si abbandonò l’ubriaco per divertirsi dell’agilità dello studente e della rabbia della vecchia. Il domenicano allora potè avvicinarsi allo sconosciuto che giaceva alla porta della taverna, per prestargli qualche soccorso. Quando si riuscì a sollevare da terra quest’uomo, ed alla preghiera d’un religioso, e sulla promessa di pagare uno scudo al taverniere, questi l’ebbe trasportato nel suo alloggio, un po’ di cure ridonarono i sensi allo sventurato. Allora egli si pulì delle lordure di cui l’avea coperto il popolaccio, si accorse del domenicano e tentò di coprirsi il volto; poi si sciolse in lacrime.

— Fratello mio, — gli parlò l’uomo di Dio con indulgente accento, — senza dubbio voi non siete avvezzo a gusti così poco degni di un cavaliere di buon luogo, come voi sembrate.

La vostra confusione ed il vostro pentimento vi assolvono. La notte comincia a farsi più oscura; se voi lo volete io vi condurrò fino alla vostra abitazione.

Lo sconosciuto fissò con aria cupa il sacerdote che gli stava davanti in piedi; poi, fatto segno al taverniere di ritirarsi:

— Non è a casa mia, ma alla Chiesa che occorre che io mi restituisca o padre mio. Ascoltate, soggiunse egli con voce più bassa e compitando ogni sillaba; — se io bevo, è per dimenticare; se io mi ubriaco, è per non più vedere un fantasma che mi perseguita senza