Pagina:Il buon cuore - Anno X, n. 23 - 3 giugno 1911.pdf/4

180 IL BUON CUORE


Educazione ed Istruzione


L’ESPOSIZIONE TRAGICA


(Continuazione e fine, vedi n. 22).


A chi rivive lo spettacolo straordinario più interessante riesce, sicuramente, l’atmosfera, nella quale esso si svolgeva; una atmosfera, fatta di alternative drammatiche, di ombre fosche e di inebrianti sfolgorii di luce. Qualche cosa di misterioso pesava sulla Francia e si traduceva, tra gli splendori del regime, in una terribile aspettativa.

Dall’altro lato del Reno, una potenza fresca sembrava impaziente di sollevarsi contro l’egemonia francese. Ella aveva provato contro l’Austria un anno prima, a Sadowa la forza leonina dei suoi artigli giovani; ed ora, alla vigilia della pompa imperiale, accennava minacciosa. Il primo aprile, giorno dell’apertura dell’Esposizione, gli animi sono invasi dall’angoscia d’un urto fatale. Bismark aveva incoraggiato sott’acqua Napoleone III a mettersi per una via imprudente, a lavorare per ottenere l’annessione alla Francia del Lussemburgo. Ma ecco, che nel momento, in cui la cosa sembra fatta e la cessione da parte dell’Olanda un fatto compiuto, il cancelliere di ferro leva il pollice e lancia un veto provocatore, come per invitare alla lotta. Appunto quel giorno, nell’ora stessa, in cui al campo di Marte, Napoleone III pronunciava il suo discorso inaugurale, si discuteva a Berlino, in seno al Reichstag un’interpellanza sulla questione lussemburghese e dalla risposta di Bismark dipendeva l’alternativa della guerra o della pace. E da due giorni, anche le ansie dei fedeli della monarchia imperiale si raccoglievano intorno alla reggia di Saint Cloud, ove giaceva, gravemente ammalato, l’erede stesso della corona, Vittorio Napoleone, il giovanetto promesso ai colpi delle zagaglie barbare. Dal Messico, infine, ove la Francia aveva spedito con Massimiliano d’Austria, i suoi soldati, eran giunte notizie vaghe di disastri e di ruine.

Ma aprile passa, e maggio apre gli animi alla gioia immoderata. L’orizzonte politico è, infatti, rasserenato. La Prussia è tornata pacifica, la questione del Lussemburgo è risoluta, Bismark e il vecchio re Guglielmo fanno, anzi, annunziare ch’essi verranno a Parigi a visitare l’imperatore. E con loro verrà un altro nemico sospettato della vigilia, lo Czar. La salute rifiorisce sul volto del principe giovanetto a Saint Cloud. E gli echi incerti di un successo delle armi francesi bastano a rasicurare gli animi anche sui misteri lontani del Messico.... Tutta una coorte brillantissima di principi s’annuncia prossima a giungere a Parigi.... Allora la gioia esplode; le feste, le danze, i ricevimenti solenni s’organizzano, e la società imperiale s’abbandona all’inclinazione della propria natura, e tutto il suo fondo caratteristico appare. Nessun periodo, infatti, più di quello, giovò a rivelare l’antimonia morale
che governava la Parigi mondana del secondo impero, nessun periodo pose meglio in luce i contrasti di quella folla splendida, affascinante, che ispirò ad Enrico Hello pagine apocalittiche, e al Weingartner la grazia tenera dei suoi pastelli e delle sue corti d’amore. Folla strana, difficile a ritrarsi perchè terribilmente complessa, perchè nessun’altra, io nessun’altro secolo, fu più volubile, né si scosse con pari entusiasmo così all’evocazione delle creature di Shakspeare come a quella degli eroi comici dei vaudevilles di Labiche. E nessun’altra nemmeno confuse, così strettamente, il piacere all’esercizio della carità ed alla serietà più grave, la vanità più sfrenata. Quella società delle Tuileries — in mezzo alla quale la semplice austerità di Clotilde di Savoia, passava come un tacito biasimo — amò la vita, ne usò e ne abusò. Ma, sfiorando gli abissi senza cadervi, seppe anche accumulare tesori di attività laboriosa, e seppe anche piangere sui mali sociali in certe ore: Parigi deve a lei sola la maestà edilizia di capitale, e tutta una fioritura di opere e d’istituti pii sgorgarono dal seno di lei.

Così, passato l'incubo d’aprile, Parigi non pensò ad altro che a godere dell’attimo fuggente. E dal maggio al giugno l’Esposizione favillò in un turbinio festoso. La statistica registrò dieci milioni di visitatori, cinquantamila espositori, e cinquantasette capi di Stati, venuti per ammirarla. Ma alla fine della prima settimana di giugno una nuova nube: lo Czar Alessandro II, reduce con Napoleone dalla rivista magnifica delle truppe a Longchamps, è fatto segno ad un attentato. La palla del revolver del polacco Berezowski ferisce un cavallo della sua scorta d’onore. Le dimostrazioni clamorose dei parigini per la Polonia l’avevan preceduto.... E l’ospite potente e temuto riparte fosco, meditando non si sa che cosa.

L’episodio, tra lo sfilare incessante di nuovi cortei sovrani, è dimenticato; il ritmo inebriante delle danze ripiglia. Ed ecco, alla fine di luglio, il telegrafo reca le notizie fulminee della catastrofe del Messico, la più terribile sconfitta della politica imperiale. Centinaia di vittime francesi sono scomparse, un maresciallo di Francia è stato messo in fuga, e Massimiliano d’Austria è stato fucilato....

Nuova tregua alle pompe ufficiali, poi l’arrivo del Sultano di Turchia col suo harem, fa di nuovo rifluire, frenetica la vita. Le preoccupazioni militari si confondono alle aspirazioni umanitarie; nelle vetrine dei librai del boulevard appare un volume pessimista del generale Trochu — il futuro difensore di Parigi, assediata — che denuncia la debolezza dell’armata francese. Ma i parigini s’arrestano più volentieri innanzi ai manifesti giganteschi con cui s’annunzia, alle cantonate, la prossima convocazione d’un congresso internazionale della pace.

L’arrivo di Francesco Giuseppe, quando la diplomazia francese si volgeva già all’Austria per averla nell’oscuro avvenire, alleata, contribuisce a riaccendere gli ardori festosi. Ma Bismark veglia ed agita le acque. Ora, i preparativi militari della Prussia appaiono più evidenti. Napoleone III corre a Vienna quasi per af-