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IL BUON CUORE | 173 |
Anche uno scrittore nostro, che ha anima di poeta, oltre che essere uno scienziato valoroso, Antonino Anile, in un suo recente libro: Vigilie di arte e di scienza, dedicava tutto un capitolo ad esaltare gli alberi, notando come la nostra patria, se non avesse gran parte della sua colonna vertebrale apenninica completamente denudata, sarebbe dieci volte più produttiva, più ricca e più salubre di quel che non sia. Parla, lungamente, questo scienziato, dei benefici effetti delle foreste, apprendendo a chi lo ignora come gli alberi favoriscano il liquefarsi delle nevi, abbrevino la durata dell’inverno e diminuiscano il pericolo delle innondazioni. Io non istarò qui, o lettori, a ripetervi tutti i grandi, innumerevoli vantaggi, e dirvi come il rimboschimento delle nostre montagne brulle dovrebbe essere, cotte lo è nelle altre regioni, una delle nostre più grandi e continue preoccupazioni. A me che delle foreste adio imaginare di più la verde intensa poesia, l’intermittente ombra, la voce ampia e stormente, piace ripetervi dell’Anile questa pagina, ch’è il più bello e poetico e imaginoso elogio degli alberi.
«Anche senza sapere con qual segreto ritmo pulsino le linfe sotto la dura cortice, l’albero, nel semplice suo aspetto, è una di quelle meraviglie vegetali che la natura offre alla gioia dei nostri sensi. Mentre il primaverile sorriso, chiusosi sui rosei mandorli, indugia ancora sulle cime tremule dei peschi biancofioriti, non parrà strano ch’io distolga per poco l’attenzione delle quotidiane cure per dischiudere ai lettori l’orizzonte verde rigato di file d’alberi tanto più alti nel cielo per quanto più profonde le oscure radici s’immergono nella terra. Per questa doppia espansione l’albero raffigura l’ansia dell’alto che è tanto più viva per quanto più dolora la nostra anima.
«L’albero e l’uomo sono le due meraviglie della vita. Un albero adolescente è come un bambino; e quando si veste di sole e mette le prime foglie ed apre le prime gemme floreali, diffonde attorno l’istessa dolcezza che viene agli occhi infantili lucidi tra i petali rosei delle palpebre. Poi, l’albero si rafforza, espande i suoi rami, si riveste di un’ampia capigliatura e mormora le prime parole e freme e canta nei venti con voci sinfoniche che Beethoven amava sentire correndo per le patrie foreste. E notando poco dopo che le nazioni più ricche sono quelle che conservano nel proprio seno tracce di foreste antiche ed espandono al sole l’ampio onduleggiare di chiomate foreste nuove, l’Anile ricorda che la parola più alata di Cristo fu detta nel sermone della montagna, tra gli alberi.
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Scrivendo, la mia mente è invasa dalle mirabili visioni mirate in Campania Felice: pini sottili ed arditi che aprono la loro chioma all’azzurro; fughe di pini che par s’inseguino e s’abbraccino, poi, in un senso di amore: pini solitari e contorti, o ricoperti d’un foltissimo manto di edera fedele.... Di queste innumerevoli visioni ricorderò ai miei lettori soltanto due. Una è quella di alcuni pini esistenti nel real bosco di Capodimonte ed è stata così descritta — assai meglio di quei ch’io possa fare — da Angelo Conti: a «C’è un
prato fra gli altri, nel quale vivono ancora due pini,