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IL BUON CUORE 167


Pochi gradini, infatti, conducono sul grande loggiato superiore e l’apoteosi della mole secolare e della sua Roma: la vastità varia e sinfonica della visione romana la si percepisce di lassù, in tutta la sua viva e colorita immediatezza: il panorama non appare lontano, non si perde nell’evanescenza dell’azzurro iridato; voi siete in alto, sulla città, ma nella città, ancora; sorgete dalle membra vive di lei: e riguardando giù, il ponte Sant’Angelo che sbocca nel cuore della vecchia Roma affollata, voi vedete la saliente vicenda di angioli che, ascendendo, sembra congiungersi lassù, al maggiore fratello maggiore trionfatore, all’Arcangelo bronzeo coronante il mausoleo.

Un’ascensione d’angeli si leva su Roma grande: i sette colli, I’ Esquilino lanciante in alto le torri di Santa Maria Maggiore, il Campidoglio che lascia sorprendere il candore di una mole novissima, il Celio umile e superbo nel cupo verde annoso, il Palatino coi ruderi imperiali, il Gianicolo silente, ospite fiorito dei tramonti romani di primavera: e sui tetti, sui comignoli bassi, sui colli, la grazia delle nostre cupole, deposte come diademi votivi. A sinistra, sola, sul cielo, e color di cielo, la cupola di San Pietro.

L’Arcangelo bronzeo, l’ultimo di una avventurosa serie di predecessori, commemorante la tradizionale visione che a Gregorio Magno rivelò sul cielo della fortezza romana, la tregua desiderata di una fiera pestilenza, appare finalmente, bello e grande nella sua drammatica concitazione: egli, d’un gesto rapido e forte, ricaccia la spada vendicatrice nella vagina di bronzo....

Un tramonto primaverile? Lo attendevo da tanto tempo, ma le pigrizie e gli sdegni di questa capricciosa primavera romana e.... cinquantenaria sono davvero singolari, quest’anno....

Una fuga di cirri d’argento solcava, contro ponente, il nostro cielo; un dramma di luce s’era adempiuto lentamente nel pomeriggio incostante: i colossali stendardi fiammanti della città leonina non avevano dato fervori di saluto al vento vittorioso; non un pavese, non un vessillo, sulle antenne: ma il cielo purissimo sulla torre alta che il bel latino dell’alto medio evo chiamò «torre fra i cieli», Turris inter coelos....

Un trionfo di primavera, sul tramonto romano: e il trionfo salutato dal gesto magnifico dell’Arcangelo cavaliere che sulla dolcezza incomparabile spezza la spada adamantina di una iracondia divina.

Egilberto Martire.


ECHI E LETTURE


Il maestro elementare non è invenzione moderna; e non sono neanche recenti le lagrimevoli istorie del suo stato civile ed economico! Anzi, a sentire i ricordi del passato c’è da sorridere di consolazione. Perchè non era una sinecura l’essere maestri di scuola in Francia ai tempi dell’ancien régime. L’intermédiaire des chercheurs et des curieux pubblica il contratto col quale un certo Hyves accettava nel 1764 il posto di
maestro di scuola a Lavilledieu. Egli s’obbligava a recarsi «pronto e diligente a tutti gli uffici divini, in modo che il signor curato e i parrocchiani non ne rimangano malcontenti.» E doveva risponder messa al curato e agli altri preti uffizianti nella parrocchiale; suonar l’«Angelus» tre volte al giorno e la campana per la tempesta appena le nubi grandinifere comparissero all’orizzonte; curare la manutenzione della chiesa e spazzarla ogni sabato e tutte vigilie delle feste comandate; rimontare l’orologio del campanile e finalmente occuparsi dell’istruzione dei giovani. Nel 1810 Antonio Arnu diventava maestro di Chevigney-surl’Ognon, obbligandosi oltre che a tutti i servizi religiosi, anche ad impedire ai cani di entrare in chiesa e al bestiame di brucar l’erba nel cimitero, a scavar le fosse e seppellire i morti. In compenso e a patto di procurarsi un locale conveniente per l’istruzione, doveva avere sei soldi per ogni allievo al quale avesse insegnato a leggere, otto soldi per la lettura e la scrittura, dieci per la lettura, la scrittura e l’aritmetica.

Ego sum flos campi1



A mio fratello ACHILLE.


La celeste visione
che viva balenava al tuo pensiero,
con quale suggestione
e dell’arte superbo magistero,
amato mio fratello,
sulla tela ritrasse il tuo pennello!
mirando quella scena
sente l’anima mia farsi serena:


Sotto ridente cielo
della Vergine-Madre la figura
söavemente pura,
coperta il capo d’un azzurro velo,
come tra i gigli un giglio
appare in mezzo a un prato
di fiori candidissimi smaltato.
Sovra dell’erba assisa,
tiene sulle ginocchia il divin figlio
e la pupilla fisa
beatamente ell’ha nel suo poppante.
Prostrata a lei dinante
sta d’angeli vaghissimi una schiera;
chi in atto di preghiera
chi d’estasi infinita
della dolce Madonna al casto volto
il guardo tien rivolto;
e, quale strano incanto!
dalle angeliche labbra non più udita
mi sembra esca celeste melodia,
un armonioso canto
che dice: Ave Maria.

Oreste Beltrame.

  1. Quadro del pittore Achille Beltrame all’«Esposizione triennale di Belle arti», in Milano.