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150 IL BUON CUORE


sato non più di qualche ora testa a testa, oserei quasi dire cuore a cuore, col Cardinale Capecelatro.

«Voglia ora degnarsi di trovare in queste parole l’espressione rinnovellata della mia riconoscenza per l’amorevole accoglienza che mi fece nel suo palazzo, e gradire con l’omaggio della mia ammirazione i voti ardenti che io fo, affinchè la Provvidenza lo conservi lungamente ancora al Sacro Collegio e alla società cristiana.


La voce del Vicario Apostolico dell’Eritrea

S. E. Mons. Carrara ha indirizzato, dall’Asmara, a Mons. Locatelli, Proposto di S. Stefano in Milano, il seguente appello:

Asmara, 8 aprile 1911.

È da parecchi giorni che mi trovo nel luogo di mia residenza e mi faccio doverosa premura di porgerle quei vivi ringraziamenti che tanto volontieri le avrei presentato a voce quando ella con tanta bontà regalava alla mia missione il generoso suo obolo di L. 300. In quel momento io ero assente dal convento e gli impegni per l’imminente mia partenza mi impedirono di farle conoscere subito i sensi dell’animo mio sinceramente grato e riconoscente.

Le dissi che mi trovo nel luogo di mia residenza, ma subito le debbo aggiungere che è una residenza senza sede, almeno propria. Ora abito in una piccola palazzina gentilmente prestatami dal Governatore, ma per la sua ristrettezza e più per la sua lontananza dalla chiesa, fra qualche giorno dovrò lasciarla per ritirarmi assieme ai miei religiosi in una casetta a mala pena ottenutami in affitto per premurosa ricerca di S. E. il Governatore. Questo il primo imbarazzo, ma non il più doloroso di fronte agli altri. Nel mio passaggio da Massaua, in cui dovetti fermarmi due giorni, se il mio cuore si rattristò vedendo la chiesa dei missionari povera, disadorna e deserta, ebbe però buona e confortante impressione nella casa delle Suore di S. Anna, dove potei constatare un lavoro che, quantunque ristretto per la grande difficoltà della mescolanza delle razze ed il piccolissimo numero degli italiani, pure può dirsi abbastanza fruttuoso a favore dei bambini a cui, oltre l’insegnamento elementare, vien impartita anche scuola di canto e di musica. Più consolante certamente fu per me l’impressione che ebbi qui in Asmara, dove con gioia vera del mio cuore potei ammirare i frutti copiosi dell’opera benefica iniziata dal compianto padre Michele da Carbonara, troppo presto rapito alla direzione di essa, condotta con intelletto d’amore. Quasi nel centro della città, sopra una bellissima altura che domina il circostante abitato, sorge la modesta ma simpatica chiesetta della nostra missione circondata dal vastissimo fabbricato che racchiude i bei locali tutti adibiti pel giardino d’infanzia rallegrato dalle voci di circa 120 bambini, e che contengono
numerose scuole tenute con zelo infaticabile dalle Suore e dirette con lode dai nostri Padri.

Sono circa trecento tra fanciulli e fanciulle che le frequentano e vi apprendono anche le lingue straniere, il canto, la musica e quanto può suggerire un illuminato amore per la completa educazione ed istruzione della gioventù.

Ciò che riesce però di maggior gravame all’amministrazione si è l’orfanotrofio e l’educandato per lo più necessariamente gratuito o semigratuito, col sopraccarico di un brefotrofio. Così si cerca di beneficare non solo i nostri italiani, ma anche tanta gioventù africana, tante volte (troppo spesso!) barbaramente abbandonata da chi non merita il nome di madre, gioventù che entrando nelle nostre scuole e nel nostro orfanotrofio mussulmana ed eretica, ne esce poi cristiana e cattolica. Così si guadagnano anime a Cristo ed alla sua Chiesa non solo, ma anche si formano bravi ed utili cittadini tanto che negli uffici pubblici, gli indigèni che occupano i primi impieghi sono quelli usciti dalla missione cattolica, di tanta soddisfazione ai direttori da obbligarli a render loro pubblica ed incontestata lode. Ma quante volte il cuore deve far tacere la voce ed il sentimento della carità, quante volte si è costretti ad asciugare lagrime di dolore, quando non si può accondiscendere alle richieste e si debbono rifiutare giovani e bambini che un giorno potrebbero essere santi cristiani! L’opera del padre Michele fu ed è affidata completamente alla carità degli offerenti, e finchè ci fu l’aiuto della personale influenza di quel benemerito, le cose si trascinavano alla meglio: ma da tempo è mancato questo sostegno: le spese durano ed i mezzi vengono a mancare, tanto che con mio dolore vidi accumulati diversi debiti non poco rilevanti. Sono non meno di cento le esistenze che ogni giorno si debbono alimentare: sono molti i bisogni a cui provvedere e che non permettono dilazione, onde proseguire nel compimento di un’opera che tanto bene promette e che se si lascia allentare nel suo progresso, dovrà cedere i frutti ad altre purtroppo tristi e settarie. Di fronte alle gravi difficoltà che già fin d’ora inevitabili mi si presentano non ho altro conforto che la speranza della Divina Provvidenza: di quella provvidenza che anche per suo mezzo tanto ha già fatto per queste terre bagnate da tanto sangue italiano.

Ella che tanto si è adoperata, che tanto entusiasmo ha dimostrato per quest’opera di redenzione, non vorrà privarsi del merito grandissimo di cooperare alla sua continuazione, al suo progresso.

L’alta influenza che Ella esercita su tante persone facoltose; la stima, l’affetto, la venerazione da cui è circondata, sono mezzi efficacissimi onde ottenere soccorsi per la mia cara Missione, per tanti infelici che, redenti col sangue di Cristo, educati alla scuola del cristianesimo, prima ancora che conosceranno l’alto beneficio ricevuto, alzeranno le loro manine al Cielo e col cuore innocente invocheranno benedizioni pei loro benefattori.

Queste le impressioni che ho provato in questi primi giorni del mio soggiorno in Eritrea, questi i bisogni