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130 IL BUON CUORE


lotto che la signora Swetchine aperse, ospitale, in pieno Faubourg Saint-Germain, abbia brillato subito come un centro di vita morale. Inaugurato sotto gli auspici della società legittimista, esso fu il crogiuolo, nel quale si fusero le idee e le tendenze di quel cattolicismo liberale, che durante cinquant’anni fu un elemento preponderante nella storia della Francia. I frequentatori più fedeli di quel salotto furono infatti: Lacordaire, Montalembert, l’abate di Ravignan, il padre Gratry, don Guéranger, Alberto de Broglie, Tocqueville, Falloux, Augusto Cochin.... Ma anche ci vennero sovente, la Récamier, Chateaubriand, Bonald, Cuvier, Victor Cousin, Abel de Rémusat, Molé, Radowitz e quel profetico Donoso Cortès, che merita d’essere dalle nuove generazioni di cattolici militanti, un po’ meglio ricordato.

«Quel salotto, dice Fernand Laudet, era sopratutto un centro d’amici ed un ritrovo di conversazioni. Esso aveva una fisionomia particolare in quanto riuniva persone diversissime tra loro, e per virtù e per ingegno, ma che recavan tutte nelle loro concezioni religiose qualche cosa del loro liberalismo semplice e senza alcuna bigotteria.»

Ma una pagina, gloriosa negli annali del cattolicismo francese, è legata al nome di lei, quella che narra la lotta eroica sostenuta per la conquista della libertà dell’insegnamento. La signora Swetchine ne fu l’ispiratrice tenace. Il suo biografo ne ha narrata la genesi così:

«Quando scoppiò la rivoluzione di luglio, ella, che era legittimista, se ne attristò; ma spirito presago, guardò gli avvenimenti in faccia: previde la potenza che avrebbero assunto le classi inferiori e l’interesse che il clero avrebbe avuto nel cercare il suo punto d’appoggio nel diritto comune e non più nei favori del governo. In tal senso ella incoraggiò e diresse i suoi due grandi amici Montalembert e Lacordaire e tutti quelli che appartenevano alla loro scuola.»

Quale sia stato l’esito della meravigliosa attività spiegata da quei due figli spirituali della signora Swetchine, è noto. Nel 1830 il clero francese pareva vinto; nel 1848, allo scoppiare della nuova rivoluzione, la sua condotta risoluta ed indipendente di fronte alla monarchia orleanista lo aveva circondato di tanta popolarità che un prete e un crocefisso potettero precedere il primo corteo popolare che si recava al palazzo municipale a proclamare il trionfo della repubblica.... e Lacordaire, in abito di domenicano, potette dall’alto degli scalini di Palazzo Borbone, il giorno dell’apertura dell’Assemblea nazionale, benedire alla folla raccolta in nome di Cristo.... Due anni dopo la legge, che assicurava la libertà d’insegnamento alle intelligenze, veniva solennemente promulgata.

Uno degli effetti di quella collaborazione, sconosciuta al gran pubblico, fu la pura amicizia che unì, sino alla morte, la signora Swetchine a Lacordaire. L’epistolario che ne ha immortalato il ricordo, permette d’intendere tutto il valore dell’influenza, esercitata dalla donna generosa, che il suo biografo tratteggia cosi: «Ella non
cessò mai di essere una donna dalla pietà illuminata, dalle virtù più attive. Ma la sua mente non era meno larga del suo cuore.... Aveva un senso logico, profondo e sicuro; un erudizione grandissima ed una memoria straordinaria. Amava la metafisica al punto che si è detto che ella vi si tuffava come in un bagno. Ed amava anche la teologia. Sarebbe però errore rappresentarsela come una madre della Chiesa, messa a dirigere un gruppo di fedeli con la severità e rigidezza delle donne che si dedicano agli studi meditativi. Per raffigurarsela così come ella fu, bisogna dimenticare l’intellettuale e pensare solo alla creatura evangelica buona che, quasi inconsciamente, tenne la face delle anime. Queste l’amarono per aver nascosto la sua tempera austera, per aver dissimulata la sua superiorità; l’amarono per la fiducia ch’ella inspirava, per l’esempio che dava, per l’atmosfera che creava, la amarono perchè il suo linguaggio più ovvio rapiva in alto le menti....»

La signora Swetchine mori il 9 settembre 1857; suo marito, vissuto accanto a lei, nell’ombra, era scomparso cinque anni prima. Secondo le sue ultime volontà, il suo corpo fu sepolto in un piccolo cimitero di campagna ad uno dei confini di Parigi, all’ombra della chiesa di San Pietro di Montmartre, nella tomba ch’ella s’era fatta costruire, quando era ancora in vita.

Colà, riposa, in alto, oltre il tumulto della città babilonica, nel piccolo canto della necropoli deserta, abbandonata, dal suolo lastricato di quadrelli spezzati, e di frammenti di pietre sepolcrali, cadute in rovina. Due blocchi di granito, protetti da una balaustrata di ferro irruginito, indicano il luogo dove riposano la signora Swetchine e suo marito. Vi si leggono ancora l’epigrafe del generale, ma quella della signora Swetchine, cancellata dal tempo, è indecifrabile. Ma il culto per la memoria di lei dura ancora; ancora si sgranano, infatti, sulla sua tomba le perle delle corone che, da mezzo secolo, delle anime sconosciute vengono a deporvi; ancora mani ignote fan piovere sulla fredda pietra le corolle multicolori....

Domenico Russo.


ROMA NEL 1871
IMPRESSIONI DI VIAGGIO


......Nel settembre del 1871 si fecero i preparativi d’un viaggio a Roma e Napoli — era la prima volta che mi recavo a vedere quelle città, e ne avevo grande desiderio. — Passati due giorni per riposare a Firenze, si parti per la via di Perugia e Foligno. Quando si cominciò ad attraversare il piano ondulato della campagna romana, provavo un sentimento di attesa, come di qualcosa di straordinario; fra poco avrei visto Roma!... Passando contemplavo i larghi meandri del Tevere, e nei prati i buoi bianchi dalle grandi corna, che ruminavano, a mezzo sepolti nelle erbe. A un certo punto, si dice da qualcuno che si può scorgere San Pietro.