Pagina:Il buon cuore - Anno X, n. 12 - 18 marzo 1911.pdf/3


IL BUON CUORE 91


da anni ad abbellire col sorriso di un poco d’arte l’umile chiesetta del convento. Se il buon Padre ancora non ha potuto donare alla sua chiesa un capolavoro come quello che già ebbe di Guido, non certo è sua colpa, ma dei tempi poco propizi all’arte. Egli ha fatto del suo meglio, e il popolo Faentino lo ha sempre aiutato con grande slancio; più di un giovine artista ha trovato in lui aiuto e incoraggiamento: la bella cappella del Crocifisso sta a testimoniare quanto zelo pel culto quale amore dell’arte animi il buon Padre Antonio. Un artista Faentino, morto giovine, a 43 anni, Tommaso Dal Pozzo, ne fece i disegni, ne condusse la costruzione, la decorò e la dipinse. Non ha fatto un capolavoro; è un’opera modesta e bisogna essere indulgenti a chi con tanta buona volontà, senza maestri e senza uscire dal ristretto ambiente provinciale, ha saputo dare assai belle speranze di sè con questo e con altri onesti lavori. Qualche cosa di timido e di incerto evvi di solito nell’opera di questi artisti che non riescono a uscire dalla ristretta cerchia dell’ambiente natale, e così è stato in tutti i tempi. Curioso anzi e interessante sarebbe lo studiare come e per quali fasi sia passata l’arte sempre alquanto arretrata di questi piccoli centri. Dopo la splendida fioritura del rinascimento, pare che un eclissi totale si adombri per lungo tratto di tempo; ogni tanto uno sprazzo di luce; qualche grande artista della decadenza vi porta una sua opera; poi un affannarsi in penose imitazioni senza personalità. Pare che colla fine delle libertà comunali anche l’anima artistica popolare siasi spenta lentamente. I rari germogli intristiscono, muoiono o si deformano nella volgarità più commerciale.

Così a Faenza l’arte delle maioliche, famose da troppo tempo, è ben morta; gli sforzi dei maiolicari del passato secolo e dell’attuale, non ostante le formali abilità tecniche, non hanno saputo vivicarla; se ne volete la prova palpabile e sconfortante, recatevi al civico museo e di fronte alla piccola ma interessante raccolta delle maioliche del rinascimento, osservate la petulante volgarità vana e chiassosa della più recente produzione nella stessa sala espostavi: il confronto è schiacciante, tutte le più complicate difficoltà del mestiere sono superate, ma nessuno di quei cocci dipinti riesce ad attingere le soglie dell’arte.

Così nella scultura Faenza può con legittimo orgoglio far vedere alcuni capolavori di Donatello, di Jacopo della Quercia, di Begarelli, di Benedetto da Maiano e di Duccio, ed ha pure alcuni artisti locali interessanti di valore, quali Pietro Barilotto e più tardi Paganelli; ma poi la scultura locale e importata annega nel più vieto e vuoto barocchismo, e gli sforzi accade. mici dei Graziani, del Colina, del Tomba nel secolo passato non riescono che ad una forma d’arte troppo aggraziata e snervata, degenerata ben presto nella mediocrità del mestiere.

Le chiese spaziose e non brutte, ma trasformate nei secoli meno buoni per l’arte, sono spoglie di belle pitture e di opere d’arte, raccolte in massima parte nell’attuale
pinacoteca comunale. Ma ancora interessanti per diversi aspetti sono la Commenda e la Cattedrale.

La Commenda, detta anche Magione, coll’annesso fabbricato, già ospizio pei pellegrini, poi cenobio dei Cavalieri Gerosolomitani, è una antichissima chiesa assai mal ridotta dal tempo e dagli uomini, ma conserva, benchè in pessimo stato, un insigne capolavoro, nel grande affresco dell’abside, di Gerolamo da Treviso. Il Trevisano vi dipinse in trono una maravigliosa Madonna col putto e san Giovannino, due sante fiorenti di salute e di bellezza, come i due putti ignudi, ai lati, dietro una bella architettura con magnifico fondo di cielo e di paese e avanti in ginocchio la vigorosa figura del committente, il Cavaliere Frate Saba, forte in armi benchè non più giovine, giunge le mani pregando alla Vergine dall’aspetto imperiale, in alto il Padre Eterno benedice fra bellissimi puttini di paradiso, nel frontone e nei pilastri architetture ben dipinte e adolescenti con stemmi. Un brutto altare barocco copre troppo la bella pittura che non si può gustare a giusta distanza, affascinante però pur tra la polvere e le rovine accumulatevi dagli anni, solo vi irrita il vedervi le abbominevoli traccie di un preteso restauro perpetratovi da un impiastricciatore mandatovi dal ministero; costui vi ha in molte parti disteso un suo viscido cerume, che specialmente nelle teste col suo molle luccicore impedisce di bene osservare l’affresco. La bella cattedrale vastissima, dalle ampie navate divise da pilastri alternati a colonne, vuolsi architettata da Giuliano da Maiano e di Benedetto da Maiano è il finissimo deposito di S. Savino, ora collocato troppo in alto nella sua ricca cappella per poterne gustare i finissimi bassorilievi e per giunta malamente manomesso nella sua disposizione architettonica. Bellissima è pure nella cappella omonima l’urna di S. Terenzio, lavoro donatellesco, opera forse di Agostino di Duccio. Vi sono poi varie sculture assai belle di Pietro Barilotti ed altre barocche e più recenti degne di osservazione e pitture a fresco e quadri negli altari non ispregevoli, uno fra tanti di Innocenzo di Imola (1494-1550) per altro soverchiamente restaurato.

Ma occorre visitare la pinacoteca comunale per vedere quante e quali opere d’arte furono sottratte alle chiese e al godimento spirituale del popolo. Queste pinacoteche di provincia, così fredde e deserte, dove il popolo non va mai nemmeno quando l’ingresso è gratuito, e se da qualche circostanza vi è attirato, vi passa guardando distrattamente senza capire e senza commoversi, o pure vi si mette melensamente a far dei conti ed inchieste su quanto potrebbero costare in vile moneta sonante i cimeli d’arte accatastati e ben catalogati, che già nelle chiese avite commossero ed ispirarono l’anima dei padri.... Ma pur sono interessanti queste chiuse raccolte agli artisti ed agli studiosi che vi possono a loro agio studiare, ammirare e pensare a tante cose belle del passato e alle povere e laide del presente.

Ecco, entriamo. In una sala non grande, specie di tribuna dei capolavori, al posto d’onore, vi guarda la strana rigida figura di un antico anacoreta; i larghi