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62 IL BUON CUORE


vato ineffabilmente all’anima mia. Oh, Dio è ben buono con me! Stasera ho l’anima tutta in esultanza e affretto con il desiderio il momento della Comunione.... Come voglio ridarmi a Gesù e supplicarlo che benedica i miei propositi buoni, che mi salvi dal male, che non permetta perda mai il coraggio del bene.

ADDIO ALLA CAMPAGNA



Oh desiato fresco odor de l’erba!
oh dolce pace di solinghi colli!
oh, smaltati di fiori, aulenti campi!
mentre giocondo su voi splende il Sole
e accenna da lontan tremulo il mare,
doman più non berrò la vostra luce!


Sospira l’alma a vostra pura luce,
qual fiera anela in selva a la Verde erba,
qual sol cadente anela a sera il mare!
Oh profumato susurrio dei colli,
dolce è scaldarsi, a la vostra ombra, al Sole
e al verde riso dei gemmati campi!


Nè selve mai, nè forre o verdi campi
nel petto infonderan più viva luce,
nè mai mi arriderà più lieto il Sole!
Parte de l’alma mia con sè tien l’erba
che aulisce lieta in questi dolci colli,
cui più seren guarda da lungi il mare!


Io partirò. Quale un errante in mare
nocchiero o belva spersa in folti campi
sarò, poi che lasciati avrò i bei colli.
Oscurarsi nel cor vedrò la luce
e rimarranno i miei sospiri in erba,
cui nullo scalderà raggio di sole.


Ma te nei sogni miei, fulgido Sole,
ma te, lontano tremolio di mare,
io sognerò, qual fiera la fresca erba.
E dovunque io vedrò riso di campi,
tornerò col pensiero a la tua luce,
e lieto riso di fioriti colli!


Oh chi mi strappa ai dolci verdi colli?
oh chi mi strappa a tal riso di Sole,
che l’anima inondò di calda luce?
Chi come in alto procelloso mare
mi sbalza e a me degli odorati campi
toglie la vista ed il tepor de l’erba?


Qual’arid’erba sparsa in nudi colli,
quai tetri campi, onde rifugge il Sole,
sarà mia vita, o mar privo di luce!

Francesco Macry Correale.


UNA GRANDE ANIMA FEMMINILE


La scrittrice Ellen Keller


È ormai conosciuta nei due mondi, ma non con esattezza. Di lei si dicono molte cose, alcune delle quali se furono vere un tempo, ora non lo sono più, grazie alla vittoria che ella riportò sul proprio destino. Erra chi la ritiene oltre che cieca, tuttavia sordomuta. Debellati i difetti della sua infermità col sostituire la multipla forza dei tre sensi vivi ai due sensi mancanti, lanciatasi coraggiosamente come chi ama di passione la vita vuole e brama e lotta, trovò anche la sua strada: una strada pressochè nuova dove si colgono fiori per l’anima e veri per la scienza. Domina in tutta l’opera sua o pensi o parli o scriva il proposito fermo di rivendicare ai ciechi e ai sordi, pieno e incondizionato il diritto di cittadinanza tra le creature attive; nel suo Mondo in cui vivo trovate pagine eloquenti contro la facile pietà che isola il sordo e lo lascia ammutolire al cieco altro non dona fuor che un cane ed un bastone; ogni capitolo è un processo a fondo contro i preconcetti che vorrebbero disconoscere i valori morali potenziali a questi disgraziati, sfida e vince con un diluvio di prove e logica battagliera di prim’ordine.

La Keller è ora trentenne: all’età di venti mesi perdette, in conseguenza di una malattia, la vista e l’udito, quindi la parola: con tutto ciò nel 906 si laurea all’uversità di Radcliffe e desta mille volte la meraviglia perchè parla, oltre la sua lingua, francese, italiano e tedesco, pronta a rivelarsi scrittrice di pensiero e artista finissima. Per circa sette anni visse in uno stato di quasi abbruttimento fra i genitori disperati e impotenti a trarre dal loro amore la sua salvezza. Ma un’aura provvidenziale proteggeva la piccola sperduta nel buio. Una donna colpita essa pure di cecità e guarita più tardi, Miss Sullivan, fu l’istitutrice che le venne a fianco aprendole subito un’era nuova di risveglio, di studio e di speranza. Elena Keller non si separerà mai più dalla sua fata benefica. Tutto le deve, dalla parola alla gloria. Ascesero insieme una strada di spine e di rose. Seguiamole un poco di sosta in sosta.

L’istitutrice non indugiò in moine: incominciò senz’altro. Eccole a passeggio una mattina di primavera: ecco una fonte a cui una donna attinge dell’acqua. Miss Sullivan prende la mano della bimba e la mette sotto lo zampillo freschissimo e mentre questa è tutta compresa nella sensazione del gelo, ella le scrive sveltissima sulla palma dell’altra mano la parola: «acqua»; una, due tre volte. L’esperimento ebbe successo. Sull’istante — dice la Keller — mi si destò un ricordo indistinto come di qualcosa dimenticata da lungo tempo di botto mi fu rivelato il mistero del linguaggio. «Io sapeva oramai che «acqua» traduceva quella cosa fresca colante nella mia mano». Un ardore nuovo di illimitata speranza la stimolò all’ubbidienza, le moltiplicò la fiducia nella sua maestra e lo stesso giorno imparò altre parole, le più belle: papà, mamma, sorella: pa-