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4 IL BUON CUORE


stati in cammino senza riposare un istante. Sì, è così avvenuto, ma, dico io, se un angelo non li protegge....

Sono così spaventati che non sentono nè la fatica nè altre sofferenze, ma io vedo che cominciano già a patire la sete. Riconosco gli uomini assetati dal viso.»

Nel pensare a questo la palma sentì un brivido spasmodico lungo il suo tronco, e le cime delle sue innumerevoli foglie si contrassero come se fossero state sopra il fuoco.

«Se fossi un uomo non mi arrischierei nel deserto. Ci vuole un bel coraggio ad andare quà e là errando senza avere radici che penetrino nel suolo, fino alle vene d’acqua inesauribili. Sarebbe pericoloso anche per le palme, anche per una palma come me.

Se potessi dare un consiglio a questa gente, direi: tornate addietro. I nemici vostri non possono essere più crudeli del deserto; voi credete che sia cosa facile viverci, ma io stessa ho dovuto talora lottare molto per non morire. Ricordo che una volta in gioventù il vento mi scaraventò addosso un monte di sabbia e stavo per soffocare. Ritenevo che fosse la mia ultim’ora.»

La palma seguitò a pensare a lungo come sogliono fare i solitari.

«Odo» continuò a dire «tra il mio diadema una dolcissima melodia; le punte delle mie foglie tremano: non so quale effetto mi produca la vista di questi stranieri.

La donna nel suo accoramento è sì bella che mi fa pensare a cose meravigliose, mi fa rivivere nei ricordi.»

Mentre le foglie seguitavano a muoversi melodicamente, la palma si rammentò che in tempi remoti due rinomati personaggi erano stati ospiti dell’oasi: la regina Saba e il savio Salomone. La regina doveva tornare al suo paese, il re l’aveva accompagnata per un tratto di cammino, e stavano per separarsi. «A ricordo di quest’ora» disse la regina «depongo nella terra un seme di dattero perchè divenga palma che cresca e viva fino a che nel paese di Giuda sorga un re più grande di Salomone.» Detto questo piantò il seme in terra e lo irrigò col suo pianto.

«Come mai mi vien fatto di pensare proprio oggi a tante cose passate?» chiese a sè la palma «È forse questa bella donna che mi fa rissovvenire della splendida regina per la quale sono cresciuta e vissuta fino. ad oggi? Le mie foglie stormiscono sempre più forte, il loro moto rassomiglia ad un melanconico canto funebre. Sembrerebbe ch’esse presagissero che il momento di doversi separare dal mondo è giunto. È buono a sapersi che questo non mi concerne; io non posso morire.»

La palma ritenne che il mesto canto mormorato dalle sue foglie fosse rivolto ai due solitari pellegrini. Essi dovevano ritener prossima la loro ultima ora. Si capiva dal modo stesso in cui andavano errando. Si scorgeva dagli sguardi che volgevano ad una coppia di corvi volanti. Non poteva essere diversamente. Erano perduti.

Avevano visto la palma e l’oasi e si affrettavano a giungervi per trovare acqua.

Appena arrivati caddero in preda alla disperazione, perchè la sorgente era inaridita. La donna spossata
depose il bimbo a terra e sedette piangendo sull’orlo della fonte. L’uomo si lasciò cadere presso di lei, si stese e battè coi pugni la terra riarsa. La palma udì ch’essi dicevano l’un l’altro che dovevano morire. Dicevano eziandio che Erede aveva fatto uccidere tutti i fanciulli dai due ai tre anni d’età, per timore che fosse nato il gran Re degli Ebrei lungamente atteso.

«Le mie foglie stormiscono con maggior forza» pensò la palma «sta per suonare l’ultim’ora per questi poveri fuggitivi.» Essa comprese altresì che entrambi temevano il deserto. L’uomo diceva che sarebbe stato meglio rimanere e lottare con i soldati anzichè fuggire: avrebbero trovato una morte meno penosa.

«Dio ci aiuterà» soggiunse la donna.

«Siamo soli fra bestie di rapina e serpenti» insistè l’uomo. «Non abbiamo nè cibi nè vivande. Come potrebbe aiutarci il Signore?»

Disperato stracciò le sue vesti e premette il volto a terra. Ogni via di salvezza era chiusa per lui, come per chi abbia nel cuore una ferita mortale.

La donna stava seduta, tenendo le mani sulle ginocchia; gli sguardi ch’essa gettava sul deserto rivelavano una desolazione senza limiti.

La palma sentiva divenire più agitato e melanconico lo stormire delle sue foglie. Parve che anche la donna lo avesse avvertito, perchè levò gli occhi sull’albero e incoscentemente alzò le braccia e le mani gridando:

«Datteri, datteri!»

Vi era in quella voce tanto desiderio che la palma bramò di non essere più alta d’un cespuglio di ginestra e i suoi datteri facili a cogliersi come le rose della siepe. Sapeva che di datteri era carico il suo diadema, ma come potevano giungere quegli uomini ad un’altezza così vertiginosa?

L’uomo aveva già visto che quei datteri non si sarebbero potuti cogliere e senza sollevare il capo pregò la donna di non desiderare l’impossibile.

Ma il fanciullo che aveva sgambettato quà e là per conto suo gingillandosi con fili d’erba e con steli, aveva pure avvertito l’esclamazione di sua madre. Egli non voleva ammettere che non fosse possibile a questa ottenere quel che desiderava. Udito parlare di datteri si mise ad osservare l’albero e andava ruminando intorno al modo di coglierli. La sua piccola fronte si corrugava sotto l’intenso pensiero; finalmente un sorriso illuminò il suo sembiante. Aveva trovato il modo. Si avvicinò alla palma, la carezzò colle sue piccole mani, le disse con dolce voce infantile: «Palma piegati! palma piegati!» Che accadeva mai? Le foglie dell’albero stormivano come se fra esse vi fosse stato un organo, il tronco era attraversato da brividi. La palma sentì che il fanciullo aveva un potere su lei e che essa non poteva resistergli. Si chinò col suo alto fusto dinanzi a lui come s’inchinano gli uomini dinanzi ai principi, formando un poderoso arco piegò a terra tanto che il gran diadema colle foglie tremanti strisciava la sabbia del deserto.

Il fanciullo non si mostrò nè spaventato nè stupito, con un grido di gioia si avvicinò e colse numerosi grappoli dalla chioma della vecchia palma.