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322 IL BUON CUORE


ligioso.» E diceva pure: «Chi riesce a conoscere il Rosmini, s’innamora della sua dottrina e della sua santità, e non può più distaccarsene.» Era ancora il Manzoni che così scriveva ad Antonio Rosmini: «Si rammenti d’uno, il quale conta tra le grazie immeritate fattegli dal Signore il conoscer Rosmini e l’aver parte nella sua benevolenza».

Se l’amico Novelli darà un’occhiata al libro intitolato Antonio Rosmini e il suo Monumento in Milano, troverà tante cose nuove e si convincerà che lo Stoppani non agiva mai per mire politiche, come risulta specialmente da una sua lettera pubblicata il 5 gennaio 1885.

Nè si deve pensare che le note del Morando non corrispondano al sentimento dello Stoppani. Non si tratta d’interpretazione, ma di verità, che forse non possono emergere dalle lettere dello scienziato, il quale, ne’ suoi sfoghi intimi e affrettati, non sentiva nessun bisogno di rivedere il suo credo filosofico, nè vedeva la necessità di convincere l’amico convinto come lui dell’essere ideale, della totalità dell’unità, dell’unità dello scibile e di tutte le teorie rosminiane, mentre sapeva che un rapido cenno, un tocco, una parola, dava al padre Maggioni l’idea completa di ciò che voleva dire, di ciò che avevano detto insieme centinaja di volte.

Riteniamo per fermo che questa discussione, fatta amichevolmente, non debba: riuscire sterile e debba anzi giovare, come dice pure don Novelli nella chiusa gentile del suo articolo che qui riportiamo.

Angelo Maria Cornelio.


ECO DI PASSATE BATTAGLIE1


Dalle idee filosofiche si potrà e in certi punti si deve dissentire, ma torna affatto impossibile negare al professor Morando che quelle idee da anni instancabilmente nella sua e in altrui riviste va propugnando per l’Italia, e fervore e sincerità e costanza indomita. Forse è il solo oggi in Italia cui la filosofia del Roveretano in compenso del lungo e amoroso studio ha rivelato tutti i suoi valori; ed è ben naturale che da buon discepolo del Rosmini, egli questi valori faccia valere nei numerosi scritti di volgarizzazione e in quei di critica, nei quali sulla pietra della sua ideologia saggia le altrui ideologie e in quelli finalmente di polemica. Cresciuto tra i fragori rumorosi della contesa di rosminiani contro tomisti, il Morando fu dei primi allora, e vi si è conservato anche dopo il giudizio autorevole di Leone XIII, che condannava le quaranta proposizioni rosminiane. Da buon cattolico però — è giustizia dirlo — egli non s’argomenta di dimostrare che la Chiesa abbia errato e che quelle famose proposizioni debbansi ritenere per oro colato, no, ma s’accontenta e da anni si sforza di dimostrare che la condanna colpì se mai errori di particolare, non il nocciolo del sistema rosminiano, che

questo sistema vince ogni altro in verità e che... dopo tutto, il decreto Post obitum, non involgendo la questione dell’infallibilità pontificia, potrebbe eventualmente essere riformato.

Dati questi precedenti, ci perdonerà l’egregio professore, se rimaniamo un po’ scettici, quando nella prefazione del recente volume che raccoglie le lettere famigliari dello Stoppani al Padre Maggioni, egli si schermisce da l’accusa di voler riaccendere le ire d’un tempo, oggi la Dio mercè sopite, morte e sepolte, appellandosi alla storia fredda, imparziale che racconta e raccoglie documenti. Forse era meglio fermarsi alla prima confessione schietta «Le lettere inedite, che pubblichiamo, e interessano specialmente per quello che toccano della questione rosminiana nel suo punto culminante»; per non obbligare il lettore a malignare della invocata e promessa imparzialità storica ad ogni nota, o quasi, che il Morando fa al testo delle lettere dello Stoppani. L’occhio tranquillo e l’animo sereno coi quali egli dice di guardar la storia dei tempi andati non gli impediscono di vedere tutto bello, tutto grande negli uomini della sua parte e tutto nero e piccolo negli uomini che ebbero il torto di pensare diversamente.

Meglio — dicevamo — era dichiarar netto senza ombre che lo scopo letterario del presente libro fu di sparar l’ultima cartuccia in pro’ d’una questione, che il grosso pubblico si ostina a creder morta, mentre per il Morando è ancor viva. Così sarebbe apparso ancor più netto il contrasto tra l’intenzione del compilatore e l’effetto del libro.

Perchè proprio — a farlo apposta non si sarebbe potuto — queste lettere dello Stoppani dicono tutto l’opposto di quello che loro vorrebbe far dire il Morando, e con un colpo definitivo dissipano quell’equivoco su cui si resse fin qui il rosminianismo. Il quale fu tante belle e brutte cose disparate messe insieme, ma non mai una corrente esclusivamente filosofica, che con armi esclusivamente filosofiche rivendicasse un posto nella filosofia cristiana, o almeno fu una congerie di aspirazioni politiche, di ragioni sentimentali, costrutte illegittimamente su principi metafisici.

Di qui lo sconfinare — che oggi a noi sembra così assurdo — delle polemiche rosminiano-tomiste dal puro campo della dialettica filosofica in quello più pratico ed essenzialmente politico su cui i nostri vecchi nonni cattolici si aspreggiavano a vicenda a cagione del diverso apprezzamento dei fatti compiuti dalla rivoluzione italiana, tanto che rosminiano equivaleva liberale e tomista valeva intransigente e austriacante.

Di qui ancora quell’intruglio per cui alle ragioni intrinseche che i due opposti sistemi potevano far valere, si continuò a sostituire il valore personale degli uomini che rappresentavano le due tesi in contrasto e si venne ad un punto in cui, messa da parte la metafisica, nè Rosmini nè S. Tomaso si riconobbero più, e stettero a far da bandiera e null’altro, ad essere rappresentanti di ciò che non sognarono nemmanco di pensare.

Un po’ questo torto d’essere una pura bandiera toccò anche allo Stoppani, uomo di indiscutibile valore scientifico e di virtù sacerdotali preclare. Se mai ne aves-

  1. Antonio Stoppani nel XX anniversario della morte — Lettere di A. Stoppani al P. Cesare Maggioni. — Milano, Oliva e Somaschi, 1910.