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266 IL BUON CUORE


del consiglio d’amica, di incitamento al bene, al perdono, al disinteresse; mi perdonino, soprattutto, le fanciulle, le giovanette, a cui, più che ad ogni altro, parlò da sorella, confessando con dolore, ma con franchezza, che la colpa dei loro affanni futuri e dei presenti, che le tempeste del loro spirito e il turbine segreto e spaventoso che tormenta il sacrario di molte famiglie, che l’angoscia inesprimibile e disperata che le spinge al suicidio o al disonore son dovuti alla donna.

I nostri tempi, a cui ci guidarono dolori sacri di battaglie e di martirii per la civiltà, non sopportano, è vero, il sonno di energie e la donna non deve negare, alla società, il contributo del suo lavoro, la genialità delle sue forze, l’impulso del volere e dell’entusiasmo e dell’intelligenza, che la rendono degna di comparire vicina all’uomo, come compagna ed amica, nel gran campo dell’attività umana; ella può essergli vicina nelle pianure e per le colline, sotto il sole, fra l’olezzo delle zolle feconde, per le fatiche del terreno; come nei laboratori ove, sul fracasso monotono e tragico delle macchine ed il silenzio triste degli uomini sorride, come una bella promessa, la letizia del suo sguardo luminoso; ella può essergli vicina negli ospedali, ove si soffre e si muore più rassegnati, per la sua carezza, come sui palcoscenici da cui l’arte sa trionfare sulle quotidiane amarezze e sugli egoismi degli uomini; ovunque l’idea di bene, di generosità rifulga; ove lo slancio dell’eroismo e del sacrificio compia prodigi e sempre, contro la materia inerte e contro l’ignoranza ed il male; contro la sventura e la vergogna; e per le virtù modeste che passano, coi ricordi intimi, quali semi fecondi di bene, nelle generazioni future; come per le glorie che i popoli salutano riverenti, nel tempo, e consacrano, ad alta voce, nella storia. Venga pure innanzi, dalla luce del suo mondo crepuscolare, questa creatura nobilissima, che ha procurato tanta gioja nella vita degli uomini; s’avanzi gentile e forte per le sue virtù, educate da secoli e riscaldate dal fuoco del sentimento e dell’entusiasmo; s’avanzi altera della sua nobiltà di affetti e d’idee e superba del destino che le è serbato. Poichè, non solo, ella è degna -di essere vicina all’uomo, nella vita sociale; ma gli è superiore nel sentimento, nella squisitezza degli affetti, nell’ardore dell’entusiasmo, nella pietà materna che ne guida gli atti per il bene altrui, per la rivendicazione di diritti sacri da parte degli sventurati; per il miglioramento dei traviati e dei derelitti, per la salvezza dell’innocenza, per la difesa dell’onore, della virtù, della giustizia a profitto dei deboli, degli infelici, dei dimenticati, della folla immensa di quanti potrebbero soffrir meno.

Si presenti e sorrida e rifulga per la sua grazia, nel mondo; ma ricordi, soprattutto, ch’ella è superiore all’uomo nella virtù e nel sentimento e che, perciò, a lei sola, tocca il supremo governo della famiglia e che la sua azione benefica e nobilissima si deve svolgere piena, prima nel santuario domestico.

Gli uomini non sapranno ridere di voi quando, prima di comparire sulla scena della vita sociale, avrete compiuto il vostro dovere nel tempio della virtù, a cui furono educate le vostre madri ed a cui dovrete educare i figli. Se, per acquistare il diritto di lavorare ed agire come l’uomo, dobbiamo rinnegare il divino sentimento della famiglia, per cui anche la bimba di quattro anni, stringe sul cuore la bambola, chiamandola la sua figliuola e prepara la cucinetta ed il lettino e le cuffie, per darle una casa ed il benessere; val meglio ritirarsi
dal campo; poichè, la bugiarda vittoria, sarebbe indegna di noi e della nostra missione.

L’odio della casa.

Ebbene, nell’attuale periodo di passaggio, la donna non ha saputo fissare gli occhi nel fulgore della luce promessa, senza rimanerne offuscata; il nuovo fuoco, il nuovo soffio di vita, costretti per secoli, hanno avuto la forza dell’incendio e del turbine e l’hanno travolta, prima ch’ella avesse il tempo di serbare intatto, nel cuore, il patrimonio ricchissimo delle virtù, dei doveri ereditati dal passato, per l’intelligente e materna bontà della sua opera educativa, nella famiglia; e prima che, con questo tesoro dell’anima, potesse muovere ardita, trionfatrice e pia, il cammino verso il riscatto dei suoi diritti.

Il popolo narra che, Masaniello, uno dei suoi eroi più cari, accecato dal fulgore improvviso della porpora e del trono, impazzisse e che, nell’ultimo canto d’Ofelia, caduta nell’acqua, mentre voleva attaccare, al ramo del salcio, pendente nel ruscello, il suo gentile trofeo di fiori, le antiche canzoni morissero, in un lamento nell’onda.

Oh! mia povera Ofelia!

«a te soverchia — fu l’acqua».

Oh! non muojano così, nel flutto vorticoso della vita nuova, le note squisite d’un inno che, la delicatezza femminile, la soavità delle virtù domestiche, la dolce modestia dei costumi muliebri, hanno composto gloriosamente di generazione in generazione; non muoja così la poesia sublime della donna, che è anche la poesia della civiltà.

Quando oggi, specialmente nei grandi centri industriali, vedo la folla di fanciulle e di giovani donne attraversare, come una corrente impetuosa, la fiumana dei lavoratori, provo una pena intensa, ineffabile. Le guardo e mi sembra che i loro atti, le parole, i movimenti, perfino la voce ed il riso, abbiano perduto la grazia, la squisitezza, la modestia della femminilità. Se, al mattino e alla sera, le lunghe file delle lavoratrici dànno, alle vie, non so quale espressione triste ed affannosa; nel mezzogiorno lo spettacolo delle operaje più giovani sdrajate sui prati, per la colazione, o disperse a crocchi chiassosi, nelle piazze, vicino alle trattorie più affollate, per le strade popolose, ove ridono e schiamazzano sguajatamente, coll’evidente preoccupazione d’attrarre lo sguardo, lo scherzo sottile e scortese o le frasi meliflue degli uomini, è ancora più angoscioso. Somigliano a quei fiori bellissimi per il colore smagliante dei petali e la rugiadosa freschezza delle corolle, a cui però fu negato il profumo. E, da questa vita strana di lunghe ore di fatica e di sacrificio e di pochi minuti di divertimento sguajato, di civetteria chiassosa, di leggerezza pervertitrice, dipende quel contrasto penoso di giudizio e d’affetto che sentiamo in cuore per esse; un sentimento cioè, di ammirazione e di pietà insieme; quel contrasto che ci rende colpevolmente indulgenti, che è la loro vita e che si potrebbe materializzare, direi quasi, in queste poche parole di duro significato: — quanta fatica materiale e quanta rovina morale per un misero guadagno che, nella maggior parte dei casi, basta a stento a soddisfare le prime necessità della vita!

Ed in tale contrasto, nella leggerezza dell’inconsiderazione, si attenuano intanto e svaniscono irrimediabil-