Pagina:Il buon cuore - Anno IX, n. 06 - 5 febbraio 1910.pdf/2

42 IL BUON CUORE


scienza, e poi dica: posso io affermare di non essere responsabile di quella morte, colle false teorie di malsana libertà che ho continuato a divulgare nel pubblico?... Io, io sì, posso proclamarmi, altamente proclamarmi innocente di quel sangue, io seguace, io apostolo della dottrina di Cristo, che predica il rispetto alla vita umana, l’ubbedienza alle autorità costituite, che considera la persona del Re, come rivestita di una autorità divina.

Fu uno squarcio di eloquenza vibrata, che produsse, per l’attualità e la verità dell’applicazione, un’impressione quasi terrificante.

Quando dopo l’ultima predica, nel vespero della domenica, essendo il Duomo straordinariamente affollato, Sua Eminenza intuonò il Te Deum, seguito dal coro unissono di più migliaia di voci, parve di sentire come la voce dell’umanità che si elevava al cielo per ringraziar Dio della verità e del perdono che per mezzo dei suoi eloquenti e santi pastori aveva fatto discendere sulla terra.

Complemento solenne alle Missioni in Duomo fu l’accademia tenutasi la sera di domenica nella Chiesa di S. Alessandro, organizzata dal Circolo di coltura, emanazione del Circolo di S. Stanislao.

Merita che se ne faccia un cenno. Ecco il Programma.

PROGRAMMA.

1.º G. RamellaRespice de cœlo — Coro a tre voci uguali.
2.º Parole del Presidente del Circolo di cultura.
3.º Discorso del Dottor Lodovico Necchi, Presidente
della Direzione Diocesana.
4.º WagnerCoro dei pellegrini (Tannhäuser).
5.º Monsignor Angelo G. Scapardini, Vescovo di Nusco
San Carlo (Conferenza).
6.º GounodI martiri — Scena corale a quattro voci d’uomo.
7.º Parole di chiusura di S. E. il Card. Arcivescovo.

La parte corale era sostenuta dalla Schola Cantorum del Seminario Teologico, la quale si prestò gentilmente sotto la direzione del Maestro Canonico Ascanio Andreoni.

Alle ore 21 il grandioso Tempio era ripieno di un pubblico composto di persone appartenenti a tutte le classi sociali. Posti distinti verso l’altare erano preparati per tutte le autorità, i Monsignori del Duomo, i Monsignori del Capitolo di S. Ambrogio, il Corpo dei Paroci. L’altare, da cui era stato asportato il S.S. Sacramento, ornato di verdi piante, sosteneva nel mezzo un busto in grandi dimensioni di S. Carlo Borromeo. Sul ripiano dell’altare presero posto, il Cardinale Arcivescovo nel mezzo, a destra i Vescovi Batignani e Scapardini, a sinistra i Vescovi Cazzani, Viganò, e l’Arciprete della Metropolitana.

Della musica diremo solo che fu pari alla circostanza, religiosa, solenne, imponente, eseguita alla perfezione dal Coro dei Seminaristi, sotto la intelligente e forte direzione del Canonico Andreoni.

Il signor Carlo Meda salì primo sul palco, preparato sotto il pulpito, e lesse brevi e opportune parole, alla fine vivamente applaudite, colle quali dava conto del perchè e del modo della Accademia. Seguì il dott. Necchi, il quale con parola forbita, concisa, convinta, richiamò la memoria di Carlo, mostrandone la eccezionale grandezza in mezzo alla Chiesa ed alla Società, e manifestando che il segreto e il culmine di questa grandezza, che dopo di avere tanto influito sull’epoca sua, si prolunga co’ suoi salutari effetti anche nei secoli successivi, si deve, più che ad ogni altra cosa, alla santità di Carlo. Carlo è grande, ma più che grande è santo, grande perchè Santo. Fu vivamente applaudito.

Nel programma, era segnata dopo una Conferenza
su San Carlo di mons. Scapardini. Ma dal contegno di Monsignore si capiva che l’indicazione era stata fatta senza il suo consenso, anzi contro il suo consenso. Nulla di meno aderì, e salì sul palco. Vi era la candela accesa, che aveva servito, per la lettura, ai due oratori precedenti. Egli, per prima cosa, soffiò sulla candela, e la spense. Questo atto di famigliarità, sollevò l’ilarità del pubblico, e predispose a sentire qualche cosa di vivace e di interessante.

E l’aspettativa non fu delusa.

Egli prese nelle mani il foglio del programma, e agitandolo, e battendovi sopra la mano disse: guardate: io sono notato per fare una Conferenza: ma io l’ho detto, l’ho ripetuto, che di conferenze non ne faccio, non son buono di farne. Ma, via; sono quì, bisogna pur dir qualche cosa. Dirò quattro parole; ma invece di dirle su San Carlo, le dirò su San Carlone. Voi certo conoscete il S. Carlone, la statua gigantesca di S. Carlo, posta sopra la collina di Arona, sul Lago Maggiore.

Io avevo otto anni quando la vidi la prima volta. Io sono nato in una regione vicina. Mio padre mi diceva: se farai il buono — ero un po’ biricchino — ti menerò a vedere il San Carlone. Venne finalmente il giorno desiderato. Quel sentire a parlare del San Carlone come di qualche cosa di gigantesco, di straordinario, m’aveva così ingrandito nella mente l’aspettativa, che quando giunsi dinnanzi al basamento ed alla statua, mio padre che si aspettava che io dicessi: oh, come è grande; vide invece che io era li imminchionito, quasi a dire: è tutto quì?

Mio padre, contrariato da questa impressione in senso inverso, aggiunse: vedrai fra poco se non è grande, quando lo vedrai dentro. Allora non c’era la bella scala a chiocciola, di ferro, che c’è adesso: c’era una scala a pioli, alta, alta.... Il padre mi mette sulla scala, e lui dietro a spingermi. A metà, la scala oscillava, un po’ a destra, a sinistra.... Io aveva una paura.... Ma il padre mi confortava; finchè arriviamo ai piedi della statua, si entra per una porticina nell’interno della statua; il padre mi dice: guarda su... Guardo, mi pareva di trovarmi in un campanile.

Vedi lì, mi dice il padre, quelle due piccole caverne? Sono i piedi.

Montiamo su una scala interna. A un certo punto il padre mi dice: vedi lì quel vuoto? Sembrava un armadio aperto. Sai che cos’è? Il libro che San Carlo tiene in mano. Montiamo ancora. Vedi lì quel foro lungo, lungo, che sembra una galleria? Io guardavo estatico. E’ il braccio di San Carlo. Finalmente arriviamo in cima. Ci troviamo in una bella cameretta rotonda. Sai cos’è questa? E’ la testa di San Carlo... E adesso ti pare ancora che la statua sia piccola?... Io non parlavo più.

E quel che avviene della statua di San Carlo al di fuori in confronto del di dentro, che di fuori è grande, ma di dentro par più grande ancora, avviene di San Carlo considerato nella sua vita: S. Carlo considerato in blocco, al di fuori, è grande; ma considerato al di dentro, nell’animo suo, nelle sue idee, nei suoi propositi, nelle opere sue, oh quanto è più grande ancora!

E con questa impostazione, giusta e vera, che San Carlo, grande al di fuori, lo è più al di dentro, all’oratore, rimanendo sempre sul punto di partenza della statua, e delle sue varie parti, si aprì il campo ad un magnifico e grandioso squarcio di eloquenza, riassumendo tutta quanta la vita di Carlo nelle sue opere molteplici e meravigliose.

Quei piedi? Condussero Carlo in tutte le parti del suo operosissimo apostolato, a Pavia, a Roma, a Trento, a Torino, in tutte le città e i villaggi della sua vasta diocesi, sui dirupi delle valli più alpestri....

Quel libro? Raccoglie tutti i saggi della sua grande sapienza, i suoi discorsi innumerevoli al popolo, al Clero, alle case religiose, raccoglie tutte le deliberazioni dei