Pagina:Il Vendemmiatore e La Priapea.djvu/87


DEL FRANCO. 79

XXIV.


Tutto mi struggo, e mettomi in tormenti,
     Nè gli orti sentono altro che dolermi,
     Perchè le donne fuggano il vedermi,
     4Né sien con gli occhi a riguardarmi intenti.
Come che si dovessino in conventi
     Tutte sacrarmi, e per un Dio tenermi,
     E farmi pezze calde per i vermi
     8In ginocchioni standomi presenti.
Ma ben son io d’ogni giudizio fuora,
     Son altro io più che un cazzo a quel che pare?
     11E se è così, che doglia me n’accora?
Non si sa egli, e vedesi all’andare,
     Che per un cazzo, e per quaranta ancora
     14Non si torrien le donne da cacare?


XXV.


Povero me, non so com’io sia vivo,
     E come non sien tutte gelatine
     Queste mie carni, tante son le brine,
     4Che la notte mi caggiono sul pivo.
Fammi poi la rugiada addosso un rivo
     D’acqua corrente in tutte le mattine,
     Che più per queste membra mie meschine
     8Se al doppio le tormenta il tempo estivo?
I Principi fottuti (ahi sommo Dio)
     Veggono il danno e ’l mal senza ristoro,
     11Nè gli cal punto del disagio mio.
E pur di terzio pelo, e cuopron d’oro
     Il lor cazzo Aretino, come ch’io
     14Non fussi cazzo dalle chiappe loro.