Pagina:Il Vendemmiatore e La Priapea.djvu/58

50 IL VENDEMMIATORE

CXLI.


    L’arancio, il cedro, e gl’altri arbor felici
Ch’imitan ne’ color gemme e metalli,
Ancor che volentier prendan radici
1124Ne’ giardin, come i vostri, chiusi in valli,
E teman le montagne e le pendici
Come legno, che ’l freddo oltraggio falli,
Benchè abbian frondi sempre e frutti e fiori,
1128Vostro terren non vo’ ch’unqua gl’onori.

CXLII.


    Non ci vo’ verde lauro o bianco moro,
Che tessa ombra co’ rami a chi gli è sotto,
Non noce Indiana, o pomo Perso, o moro,
1132Ch’empia di gemme il sen quand’egli è rotto,
Non fico, ancor ch’io me ne struggo e moro,
E più che ’l mondo tutto ne son ghiotto,
Perchè senza che ’l fico vi sia messo,
1136Il giardin tutto è fico per se stesso.

CXLIII.


    Un’erba sola è quella che de’ porre
Ogni donna e donzella al suo bell’orto:
I frutti che ne pon dì e notte corre,
1140Avanzan tutti gl’altri di conforto:
Ma il sugo che premendola ne scorre,
Potría quasi dar vita a un corpo morto.
Vidi io sanar sovente con quest’erba
1144Donne, ch’eran già presso a morte acerba.