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DEL TANSILLO. 35

XCVI.


    Questo è quel vago, o donne, e bel legnetto
Che si caccia sotterra e fa la fossa;
Per dir sue lodi un altro dì v’aspetto,
764Che dal mattino incominciar si possa,
Non or che ’l Sol quasi nell’onde ha ’l petto,
Onde il ciel quì s’imbruna, ivi s’arrossa:
Sol oggi vi dirò qual esser deve
768Poichè ’l tempo mi sforza ad esser breve.

XCVII.


    In dir l’altrui, quanto esser deve e quale
Stimate che ’l mio stesso si dipinga:
Sia lungo, qual dicea, s’è più, più vale,
772E grosso tanto ch’altrui man nol cinga.
La punta abbia di ferro, e qual pugnale
La guardia, e ’l pomo al piè dove si stringa,
E duro sì, che torto non si faccia
776Perchè sotterra e notte e dì si giaccia.

XCVIII.


    Oltre la zappa, il pal, l’aratro e l’acque,
E le stagion d’oprarli e ’l modo e l’ora
De’ quali il men si disse e ’l più si tacque,
780S’io vi vo’ dir tutte quell’arti ancora
Ch’usar da noi si ponno, e da qual nacque
Meglio al terreno, e meglio a chi ’l lavora
E parlar d’ogni pianta oggi abbastanza
784Via più dell’opra che del giorno avanza.